Sostiene Luca Palamara che nel febbraio del 2019 ha organizzano una cena a casa sua a Roma. Al tavolo del magistrato, che solo tre mesi dopo diventerà il simbolo di un’inchiesta in grado di far tremare il mondo delle toghe, si radunano alti esponenti delle istituzioni giudiziarie: il procuratore nazionale Antimafia, Federico Cafiero De Raho, il vicepresidente del Csm, David Ermini, l’allora procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio, e l’ex pm della Dna, Cesare Sirignano. Si mangia, si chiacchiera, si discute. Nel menù c’è anche un argomento molto delicato: l’organizzazione della procura nazionale antimafia e il ruolo di Nino Di Matteo nel gruppo di magistrati che avrebbero dovuto indagare sulle stragi degli anni ’90. Un pool del quale sarà poi escluso da Cafiero De Raho nel maggio successivo. Il procuratore nazionale Antimafia contesterà al pm siciliano – poi eletto al Csm – di aver rivelato notizie coperte da segreto durante un’intervista televisiva. Che tipo di notizie? Nel dettaglio non si sa visto che quando, molti mesi dopo, proprio palazzo dei Marescialli avrebbe dovuto esprimersi sulla correttezza di quella decisione, Cafiero la revocherà. “L’esclusione di Di Matteo fu una scelta del tutto autonoma da parte di Cafiero De Raho. Fu oggetto di una discussione anche dentro il Csm, ma la scelta fu appannaggio esclusivo di Cafiero De Raho, non ci fu nessuna interferenza da parte del Csm”, ha sostenuto oggi Palamara davanti alla commissione Antimafia.
Audito dall’organo presiduto da Nicola Morra, il pm al centro dell’inchiesta sul caso nomine ha ricostruito alcuni dei passaggi recenti che hanno mandato in fibrillazione il mondo della magistratura e della politica. Ha parlato della mancata nomina di Di Matteo al Dipartimento amministrazione penitenziaria da parte di Alfonso Bonafede, dell’arrivo al Dap di Francesco Basentini, ma pure del possibilità di vedere Nicola Gratteri diventare ministro della giustizia del governo di Matteo Renzi nel 2014: “All’interno della magistratura si parlava e si temeva” quella nomina. Per quale motivo? “Gratteri come Di Matteo non fanno parte di quel meccanismo che io non voglio solo intendere in senso deteriore ma rappresenta più o meno lo schema dei partiti politici all’interno della magistratura”, sostiene l’ex presidente dell’Anm. Va ricordato che Palamara è una persona sotto inchiesta: dunque i suoi racconti non devono essere valutati come oro colato. Ma andiamo con ordine.
La cena a casa Palamara – A destare particolare curiosità tra i commmissari di palazzo San Macuto è stata soprattutto quella cena che Palamara racconta di aver organizzato nel febbraio del 2019. Un’occasione in cui si parlò esplicitamente anche dell’arrivo dell’ex pm della Trattativa alla Dna per indagare sui mandanti esterni alle stragi degli anni ’90. “Il tema dell’avvento di Di Matteo alla procura nazionale Antimafia, quanto quello della costituzione del gruppo Stragi, fu oggetto di discussione. Ne parlai con Cafiero, ci fu una cena casa mia con Ermini, l’allora pg Fuzio, dove affrontammo vari temi tra cui quello dell’organizzazione della procura nazionale antimafia. Quella cena è del febbraio del 2019 e fu organizzata a casa mia perché io ho sempre pensato che le varie componenti devono parlare. La personalità di Di Matteo è stata sempre considerata ingombrante nel mondo della magistratura associata e delle correnti. Si discusse anche del fatto che mettere il dottor Di Matteo all’interno del gruppo stragi avrebbe sicuramente aumentato il suo rilievo all’interno della magistratura”. Quindi il numero due di Palazzo dei Marescialli parlava con il procuratore nazionale antimafia delle deleghe assegnate a un singolo magistrato come Di Matteo? E lo faceva a casa di Palamara? E per quale motivo? Palamara sostiene che in quell’occasione “il problema della presenza del dottor Di Matteo all’interno del gruppo stragi fu un tema di cui discutemmo. Ne discutemmo anche alla presenza di Sirignano (ex pm della Dna poi trasferito proprio per i messaggi scambiati con Palamara ndr): si affrontò la discussione che riguardava anche Di Matteo“. Passano tre mesi e Palamara scrive proprio a Sirignano lamentandosi di alcuni articoli di stampa relativi al gruppo Stragi: “Questo gruppo per indagare sulle stragi tutti ne parlano. Ma c’era bisogno? Ti dico che non è grande mossa”. Sirignano in quell’occasione replica: “Luca ma tu non hai capito che Federico rappresenta la nostra forza”. Palamara risponde: “Lo so. Ma non deve sbagliare mosse”. Venti giorni dopo Cafiero De Raho estrometterà da quel gruppo d’indagine Di Matteo. E Palamara tornerà subito a scrivere a Sirignano, un messaggio pieno di entusiamo: “Grande Federico”. Pochi secondi dopo Sirignano replicherà con uno laconico: “Noi siamo seri”. Ma noi chi? Oggi Palamara sostiene che quella fu una scelta presa direttamente da De Raho in modo autonomo. “Sicuramente – ha detto all’Antimafia – anche Cafiero amava avere interlocuzioni e condividere le scelte con le persone con le quali si fidava. Sicuramente la scelta dell’esclusione di Di Matteo dal gruppo Stragi fu condivisa con altri soggetti istituzionali ed esponenti dello Stato”. L’ex magistrato, però, non dice a chi si riferisce.
Il caso Dap e Basentini – Qualche elusione sembra esserci pure quando Palamara racconta l’altro grande caso che ha riguardato sempre Di Matteo negli ultimi tempi: la nomina, poi sfumata, a capo del Dap nel giugno del 2018. Quel posto venne assegnato dall’allora guardasigilli Bonafede a Basentini, esponente della corrente di Palamara, che però nega di essersi interessato. “Per l’esperienza diretta di quella che è stata la mia attività, Basentini non aveva requisiti per ricoprire quell’incarico, nel senso che non si era mai occupato di questioni carcerarie. Ovviamente al netto del curriculum che non metto in dubbio”, ha messo le mani avanti l’ex pm a Palazzo San Macuto. “Dico che per quel determinato incarico che gestisce una mole di informazioni, il profilo del capo Dap è molto importante perché se si mette un magistrato che capisce certi meccanismi, penso a Di Matteo – ha continuato Palamara facendo riferimento all’esperienza nelle indagini su Cosa nostra del consigliere del Csm- quella gestione e la mole di informazioni può rafforzare ancora di più il personaggio di Di Matteo nella magistratura. E quando si rafforza un personaggio così il sistema si preoccupa per trovare un punto di equilibrio”. A sentire Palamara, il “punto di equilibrio poteva essere trovato nel nome di Basentini”, una scelta che “evitava il rafforzamento” di Di Matteo. Ma perché Bonafede decise di puntare su Basentini e non su Di Matteo, se secondo Palamara quella scelta “non fu dettata dalle correnti della magistratura“? Qui il pm fa una lunga ricostruzione che parte dal giugno del 2018, nei giorni in cui s’insedia il governo gialloverde. “Quando Bonafede è diventato ministro noi tutti pensavamo che al ministero sarebbe andata una parte importante di magistrati di Autonomia e indipendenza“, cioè la corrente fondata da Piercamillo Davigo. Poi però Palamara sostiene di essere stato informato di “colloqui” tra l’allora procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, e il ministro Bonafede. “C’è una chat della dottoressa Casola (all’epoca al dipartimento per gli affari di giustizia del ministero ndr), che mi dice: tienitelo riservato perché il procuratore Pignatone sta venendo più volte da Bonafede. In quegli stessi giorni Di Matteo ha detto di aver interloquito col ministro e gli era stato promesso il Dap”. E invece al vertice dell’amministrazione penitenziaria finirà poi proprio Basentini, che come Palamara e Pignatone è esponente della corrente Unicost. Palamara però nega che quella nomina sia il frutto di una richiesta della sua corrente: “Non fu una indicazione dei vertici di Unità della costituzione”.
È a questo punto che l’ex magistrato riavvolge indietro il nastro dei suoi ricordi fino al febbraio del 2014, quando Gratteri era in predicato di diventare ministro della Giustizia del primo governo Renzi. “All’epoca – ricostruisce Palamara – all’interno della magistratura si parla e si teme che Gratteri possa diventare ministro della giustizia, ne parlo col mio procuratore dell’epoca Pignatone, come ne ho parlato tante volte di Di Matteo, con i miei referenti dall’Anm e al Csm. Fatto sta che poi il nome di Gratteri, per come ho appreso in ambito politico, venne depennato da quella che era l’originaria lista”. Ed è vero: entrato al Quirinale come nuovo guardasigilli, il nome del magistrato calabrese sparisce poi dalla lista dei ministri. Perchè? “Nicola Gratteri – risponde Palamara – come Di Matteo non fa parte di quel meccanismo che io non voglio solo intendere in senso deteriore ma rappresenta più o meno lo schema dei partiti politici all’interno della magistratura. Sono le correnti che si muovono per ottenere un equilibrio: e quindi è necessario trovare degli accordi, delle mediazioni con la politica”. Per questo motivo, secondo l’ex magistrato, “chi ha nominato Basentini lo ha nominato tenendo conto di questo meccanismo e inevitabilmente prendendo suggerimenti”. Suggerimenti da parte di chi? “Di chi non lo so dire – dice l’ex magistrato – ma erano suggerimenti che sconsigliavano questa scelta”.