Dopo una camera di consiglio di circa due ore, il giudice ha fatto cadere le accuse nei confronti del critico d'arte e parlamentare con la formula "perché il fatto non costituisce reato". A giudizio altre 19 persone coinvolte nell’indagine
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma ha prosciolto Vittorio Sgarbi nel procedimento che vedeva il critico d’arte accusato di avere certificato come autentici alcuni lavori riconducibili all’artista Gino De Dominicis, ritenuti falsi dal comando Tutela patrimonio culturale dei carabinieri. Dopo una camera di consiglio di circa due ore, il giudice ha fatto cadere le accuse con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. Il gup ha prosciolto con la stessa formula anche Duccio Trombadori mentre ha rinviato a giudizio altre 19 persone coinvolte nell’indagine. Per loro il processo è stato fissato al prossimo 21 dicembre.
Il procedimento finito al vaglio del giudice per le udienze preliminari è quello che portò, nel novembre 2018, all’arresto di due persone, finite entrambe ai domiciliari. Nel fascicolo sono state iscritte venti persone tra cui lo stesso Sgarbi cui i magistrati contestavano, nel suo ruolo di presidente della Fondazione Archivio Gino De Dominicis di Roma, la violazione dell’articolo 178 lettera C del codice dei beni culturali e del paesaggio. Sempre nel novembre 2018 su disposizione del gip furono sequestrate oltre 250 opere considerate contraffatte per un valore di oltre 30 milioni di euro e venne individuato il locale adibito a laboratorio dove sono state trovate opere con tutto il materiale idoneo alla produzione di falsi.
Secondo l’impianto accusatorio, sul mercato lecito dell’arte contemporanea sarebbero state immesse numerose opere d’arte contraffatte, corredandole di fraudolente certificazioni di autenticità, attribuite al celebre artista marchigiano De Dominicis – riconosciuto come uno degli autori più importanti dell’arte italiana del Secondo dopoguerra con quotazioni sempre più in rialzo sul mercato – e, in misura minore, ad altri maestri dell’arte contemporanea. Tre anni fa, inoltre, i carabinieri diedero esecuzione ad altre due misure cautelari nei confronti di altrettanti galleristi che prevedevano l’interdizione all’esercizio della professione.
Nell’ordinanza cautelare emessa nel 2018 il gip spiegava che le “indagini del procedimento hanno avuto origine dalla contrapposizione tra due archivi, entrambi dedicati allo stesso De Dominicis. Tale contrapposizione vede schierati – scriveva il gip – da una parte l’archivio “Gino De Dominicis” con sede a Foligno, rappresentato da Paola De Dominicis, cugina ed erede dell’artista e dall’altra parte la “Fondazione/Archivio Gino De Dominicis” con sede a Roma”. Nella struttura di questa seconda fondazione “sono presenti numerosi soggetti indagati nel procedimento”, aggiungeva il giudice spiegando che “è importante osservare che De Dominicis, non riconoscendo alla fotografia valore documentario, ha sempre ostacolato in vita la pubblicazione di cataloghi delle sue opere. Il catalogo ragionato realizzato nel 2011 ne ha documentate 632, mentre secondo alcune stime l’artista in tutta la sua vita non avrebbe prodotto più di 800-850 opere”.