Bergamo non darà la cittadinanza onoraria a Patrick Zaki. Martedì scorso il Consiglio comunale – a maggioranza di centrosinistra – ha respinto la proposta del Partito democratico di iscrivere nel registro il ricercatore e attivista egiziano che studiava a Bologna e che dal 7 febbraio del 2020 è segregato, per le sue idee politiche, nel carcere-lager di Tora del dittatore al-Sisi.
Il 14 aprile il Senato, all’unanimità, ha approvato la mozione che impegna il governo a far diventare Zaki cittadino italiano; e la lista dei comuni che gli stanno conferendo l’onorificenza si sta allungando di giorno in giorno: Milano, Bologna, Firenze, Napoli, Genova (con un po’ di fatica), Lecce, Bari, Pisa, Brindisi, Ferrara, Rimini, Taranto, Pescara, Avellino e tanti altri. Bergamo, invece, che da sette anni è amministrata da una Giunta di centrosinistra guidata da Giorgio Gori, si unisce a Treviso, La Spezia e Roma.
C’è chi ritiene che dare la cittadinanza onoraria allo studente egiziano sia utile; c’è chi pensa che, a livello simbolico, sia importante, perché, al di là della solidarietà espressa, costituisce un segnale istituzionale; c’è chi, al contrario, è convinto che non serva a niente. Io ho la mia idea, ma non è questo il punto. Il punto è come sono andate le cose a Bergamo.
Come detto, l’ordine del giorno è stato presentato dal Pd (dalla consigliera Romina Russo). In ordine sono intervenuti Danilo Minuti (Bergamo Ideale, la lista civica che sosteneva il leghista Giacomo Stucchi alle elezioni del 2019) secondo cui “questo titolo non va dato a chi non ha una storia legata a Bergamo”, poi lo stesso Stucchi (“voteremo l’odg, tolta la parte sulla cittadinanza onoraria”) e Andrea Tremaglia di Fratelli d’Italia (“il legame con la nostra città è labile”). In mezzo ha preso la parola Ezio Deligios, della Lista Gori, che sulla cittadinanza onoraria ha espresso “perplessità che abbiamo condiviso come gruppo, ci vuole l’unanimità sull’ordine del giorno e per questo servirebbe un piccolo ripensamento”. E così è stato: dal testo è stata tolta la parte su cui il centrodestra era contrario (e la Lista Gori poco convinta) e Bergamo, di fatto, ha negato la cittadinanza a Patrick Zaki. Con la giustificazione che “era necessaria l’unanimità”.
Ora, la vicenda mi ha portato a un precedente, quando cioè nel 2019 il Consiglio comunale votò per cancellare la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini. Quel giorno la delibera rischiò di non passare, perché ci furono dieci voti contrari e dieci astenuti (a fronte di tredici favorevoli). Tra gli astenuti ci fu il sindaco Gori, che spiegò così la sua scelta: “Della storia, anche dei suoi passaggi più bui, è sempre opportuno trattenere memoria e insegnamento. Quale? Per esempio che i popoli non sempre hanno ragione, a volte compiono tragici errori”. E ancora: “Ha senso giudicare un fatto consolidato e storicizzato con criteri temporalmente posteriori?”.
In pratica, per Gori, la cancellazione fu sbagliata – o, quanto meno, dubbia – perché anti-storica. Inoltre, il fatto che ci fosse il nome del Duce nel registro del Comune serviva per testimoniare “che i popoli compiono tragici errori”. È un ragionamento, condivisibile o no, che ha un fondamento. Ma non è questo il punto. Il punto è: qual è la logica che ti fa dire “manteniamo la cittadinanza onoraria a Mussolini” e che allo stesso tempo ti spinge ad affossare, insieme a Lega e Fratelli d’Italia, la proposta di dare la stessa onorificenza a Patrick Zaki? Caro sindaco, Mussolini sì e Zaki no? Non è che in futuro qualcuno si accorgerà del “tragico errore”?