Tutti condannati — a pene che vanno dai 12 anni ai 3 anni e 4 mesi — i cinque carabinieri della caserma Levante di Piacenza a processo con rito abbreviato per le torture, le violenze e i traffici di droga, le estorsioni e le rapine che avevano portato al loro arresto il 22 luglio del 2020. Il giudice per l’udienza preliminare, Fiammetta Modica, ha accolto in gran parte le richieste dei sostituti procuratori Matteo Centini e Antonio Colonna. Il procuratore capo Grazia Pradella, che ha coordinato le indagini, aveva definito gli imputati “traditori dello Stato”: “Siamo soddisfatti della sentenza, l’impianto accusatorio ha retto in pieno”, ha fatto sapere a margine della pronuncia. “Questo processo, ancora prima delle vittime stesse, cioè le persone picchiate e arrestate illegittimamente, offende la parte sana, che è la stragrande maggioranza, dell’Arma dei carabinieri: credo che l’Arma si debba ritenere soddisfatta di aver ricevuto in questa sede una giustizia anche risarcitoria“. L’Arma, per parte sua, oltre a esprimere dolore per i “comportamenti inaccettabili e di gravità inaudita” dei militari coinvolti, dichiara che “non ci saranno sconti per nessuno. Chi sbaglia pagherà oltre che sul piano penale, anche su quello civile (anche con risarcimento dei danni economici) e disciplinare“.
La condanna maggiore, 12 anni, è stata inflitta all’appuntato Giuseppe Montella, al centro, secondo l’accusa, del sistema criminale esistente nella caserma e rafforzato nei mesi del primo lockdown. Per lui la Procura aveva chiesto 16 anni e 10 mesi. Montella ha ammesso le sue responsabilità – ammettendo di aver partecipato a gran parte degli episodi a lui contestati, ben 58 su 60 -, ma ha sempre sostenuto di non aver agito da solo. Otto anni, invece, all’appuntato Salvatore Cappellano, sei all’appuntato Giacomo Falanga, tre anni e quattro mesi al carabiniere Daniele Spagnolo e quattro all’ex comandante della stazione di via Caccialupo, il maresciallo Marco Orlando. Nei giorni scorsi il Tribunale di Bologna aveva scarcerato Montella, disponendo per lui gli arresti domiciliari. Gli unici arrestati che rimangono in carcere, al momento, sono Salvatore Cappellano e Giacomo Falanga. Un sesto carabiniere, l’appuntato Angelo Esposito, aveva scelto di proseguire il processo con il rito ordinario, mentre un’altra decina di persone, spacciatori e complici, hanno optato per il patteggiamento.
I capi d’imputazione contenevano sessanta episodi, collocati dall’ottobre 2018 al giugno 2020, di abusi ai danni di spacciatori e immigrati. L’inchiesta “Odysseus”, aperta nel 2017, era nata dalle confidenze di un pusher sui metodi illegali utilizzati dai militari, sviluppandosi attraverso intercettazioni, pedinamenti e anche di un trojan (il dispositivo informatico che trasforma il cellulare in un registratore) . Il procedimento aveva portato, per la prima volta in Italia, al sequestro di un’intera caserma: un luogo, è emerso in seguito, che viveva di una vita parallela, fatta di droga sequestrata e rivenduta e arresti illegali.