Invidio tutti quelli che invece di domandarsi come e perché si è arrivati a questo punto, e cioè a meno di un passo da una scissione di quel che resta di un M5S già decimato da una moltitudine di espulsioni, troppe fuoriuscite ed infinite lacerazioni interne, tifano calcisticamente per uno dei due contendenti, quello che appare più affidabile e suadente e soprattutto il vincitore finale più accreditato: Giuseppe Conte.

Li invidio perché ovviamente non sono nemmeno sfiorati dal dubbio, nutrono certezze granitiche, deducono che la bontà della loro totale e incondizionata fiducia nelle capacità di Giuseppe Conte di riportare il M5S “sul podio” sia indirettamente confermata dal fatto che continui ad essere avversato dai soliti nemici storici che vanno da Renzi ai “giornaloni”, passando per tutta la stampa di destra. Mentre Beppe Grillo, che Marco Travaglio descrive testualmente “barricato nel suo bunker in piena sindrome di Ceausescu” quando scrive post “deliranti” che vengono sommersi di vaffa, sarebbe riuscito nel paradossale capolavoro di “essersi inimicato tutti gli amici ed essersi trasformato nell’idolo di tutti i nemici”. Anche se molto banalmente a questo proposito mi viene in mente un proverbio un po’ scontato ma abbastanza puntuale: “Dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io”.

Sull’infilata di errori, non di poco conto, e scivolate plateali del Garante-Elevato mi sono soffermata spesso e con profondo sconcerto, dall’improvvido arruolamento di Cingolani nella galassia grillina fino alla provocazione dell’omaggio alla Cina mentre Draghi era a colloquio con Biden – a cui Conte si è saggiamente sottratto anche se ha addotto, con qualche imbarazzo, motivazioni personali anziché politiche come sarebbe stato preferibile.

Ciò nonostante, non credo che la soluzione salvifica per non condannare il M5S all’irrilevanza politica o ad una normalizzazione calata dall’alto – che lo trasformerebbe a tutti gli effetti in un partito omologato all’esistente e ancorato strutturalmente al Pd – consista nel consegnarsi senza riserve alla guida unipersonale di Giuseppe Conte e nel “lasciare solo” il fondatore a consumarsi nelle sue “farneticazioni” e nel suo “cupio dissolvi”.

Circa quattro mesi fa, quando la situazione era già alquanto critica ma non ancora catastrofica, ritenevo che l’intervento di Conte avrebbe potuto essere salvifico e rivitalizzare il Movimento a condizione che l’intento e la pretesa non fossero fare tabula rasa dell’identità e della storia di una formazione politica che aveva fondato la sua ragion d’essere sulla democrazia diretta e partecipata, come ha ribadito Grillo anche nel post “dello strappo definitivo”.

Si trattava insomma di “non rivoltare il M5S come un calzino”, di non attribuirsi una guida politica esclusiva e incondizionata, limitata solo dalla facoltà del garante di poter chiedere, in casi ovviamente estremi, una consultazione tra gli iscritti per sfiduciare il capo politico, di non spargere di fatto sale sul passato di cui Giuseppe Conte ha condiviso solo gli ultimi tre anni da presidente del Consiglio di due governi, grazie all’investitura di Beppe Grillo.

Era altamente auspicabile, come aveva correttamente indicato Gianfranco Pasquino, che un capo politico, anche se in pectore, potesse realizzare il compito non facile di “aggregare piuttosto che sovrintendere a scissioni” e cioè riuscire a fare esattamente il contrario di quello che i cosiddetti “amici” del M5S lo sollecitavano a fare, in primis Andrea Scanzi per citare uno dei più animosi: cambiare nome per attrarre anche gli “odiatori” dei grillini, liberarsi in qualsiasi modo di Rousseau e di Casaleggio jr, origine di ogni male, confondersi e mixarsi con Verdi, Dc, Sardine ed annessi.

Ora dopo oltre quattro mesi di elaborazione di uno statuto che ancora non conosciamo compiutamente, ma che appare modellato su una forma-partito tradizionale e omologato a quelli che critichiamo da decenni, fondato sul “superamento di una diarchia disfunzionale” tra leader ombra e prestanome, con la precisazione a lettere maiuscole di Conte “io non farò il prestanome” c’è stata la risposta inappellabile di Grillo che dice no ad un partito unipersonale e ad uno statuto seicentesco.

E così come lo statuto presentato da Conte è “chiuso”, dunque immodificabile per sua espressa ed inequivocabile definizione, altrettanto definitiva sembra la valutazione del fondatore su Conte giudicato come inadatto a “risolvere i problemi del M5S ed incapace di visione politica nonché manageriale”; quindi Grillo ha indicato una consultazione in rete degli iscritti da tenere sulla piattaforma Rousseau per l’elezione del comitato direttivo.

Conte a sua volta ha liquidato il Garante come padre-padrone e lo accusa di una svolta autarchica che mortifica il M5S e di pretendere qualcosa che va oltre la diarchia; rivendica di aver lavorato allo Statuto per quattro mesi con trasparenza e ribadisce di voler andare avanti e di non voler tenere il progetto politico, che ha il sostegno di tanti cittadini, nel cassetto per la contrarietà di una sola persona.

Così alla fine risulta quasi impossibile un resoconto aggiornato ad horas dell’escalation di conflittualità tra il fondatore, che denuncia da ultimo in un video la redazione di uno statuto autoreferenziale, senza distribuzione dei poteri e rispetto delle funzioni del Garante, ed il rifondatore, che ritiene di essersi messo a disposizione con lealtà e trasparenza. Ciò che prevale è il senso di sconfitta per tutti, il caos in quel che resta del Movimento al netto di espulsioni ed esodi volontari e la spaccatura nei gruppi parlamentari che qualche mese fa era tra governisti e movimentisti ed ora è tra grillini e contiani; con l’aggiunta non esaltante di posizionamenti determinati non tanto da ragioni ideali, quanto da valutazioni in merito a deroghe al limite al secondo mandato a cui Grillo è contrario, mentre Conte è aperturista.

A conclusione del suo video, meno urlato di tante uscite precedenti, Grillo dice: “Stiamo uniti se possiamo ma se qualcuno vuole fare una scelta diversa la faccia in tutta coscienza”. Non so se era un riferimento al più che legittimo intento di Conte di portare avanti il suo progetto politico. E, a questo proposito, mi è parsa quanto mai appropriata la domanda che gli ha posto in conferenza stampa Ivo Mej, iscritto al M5S: “Lei è stato un buon premier ed è una brava persona, ma quello che propone ha più a che fare con i democristiani di sinistra che con il M5S, con un partito tradizionale piuttosto che con un Movimento centrato sull’idea di un direttorio di 5 persone. Perché lei che è una persona coraggiosa non fonda un suo partito?“.

E mi permetterei di aggiungere, meglio ancora se l’avesse fatto all’indomani del “Conticidio”, con cui Grillo peraltro non ha avuto e non ha davvero niente a che spartire.

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