I comandanti di diverse milizie filo iraniane in Iraq hanno raggiunto un’intesa di massima per sospendere gli attacchi contro le truppe americane stanziate nel Paese arabo, a condizione che Washington contribuisca alla “calma”. Lo riferisce una fonte irachena riservata all’emittente online Middle East Eye, specificando che l’incontro tra i comandanti è avvenuto all’indomani dell’ultimo lancio di razzi nei pressi del giacimento petrolifero di Omar, nell’area di Deir Ezzor, in Siria, probabilmente diretto contro i soldati a stelle e strisce e dopo il quale Washington ha bombardato alcune postazioni in Iraq e Siria.
Sempre secondo la fonte dell’emittente, il meeting è avvenuto a Baghdad, nell’ufficio del capo dell’Autorità per la mobilitazione popolare (Pma), Faleh Al Fayyadh, e ha visto la partecipazione di Hadi Al Amiri, a capo dell’Organizzazione Badr, del comandante della Pma Abu Fadak al Mohammadawi e di rappresentanti di Asaib Ahl Al Haq (La lega dei giusti, guidata da Qais Al Khazali), di Kata’ib Sayyid al Shuhada e di Kata’ib Hezbollah. Proprio questi ultimi, secondo la fonte, sarebbero responsabili dell’ultimo attacco a Deir Ezzor.
Lo scorso lunedì Washington aveva difeso la decisione di condurre alcuni bombardamenti mirati contro depositi di armi, secondo quanto riferiscono gli Stati Uniti, e in risposta ad altri lanci di missili contro alcuni contractor in Iraq e Siria, sebbene fosse arrivata la duplice condanna per la violazione della propria sovranità da parte dei governi a Damasco e Baghdad, con il primo ministro iracheno Al Khadimi descritto come “imbarazzato” dalla decisione di raid americani, visto il suo impegno nel mantenersi al di fuori delle tensioni tra Stati Uniti e Iran, nonché nel tentare di contenere le iniziative delle milizie. Il capo ufficio stampa del Pentagono, John Kirby, aveva ribadito martedì scorso la natura “difensiva” dei raid americani, funzionali a “mantenere la deterrenza”. Uno di questi, secondo un comandante iracheno sotto anonimato, aveva preso di mira un appartamento usato dai combattenti della 14esima brigata all’interno del confine iracheno, uccidendone quattro. Nel corso di un altro raid ad esso contemporaneo, sono state invece prese di mira postazioni di Kata’ib Hezbollah in Siria, anche se per ragioni sconosciute i luoghi bombardati erano stati evacuati dalle stesse brigate che si sarebbero raggruppate meno di un chilometro più a est. Quelli di domenica scorsa non sono i primi raid condotti nella regione dalla nuova amministrazione di Joe Biden. Lo scorso febbraio Washington aveva già condotto bombardamenti contro alcune infrastrutture militari in Siria, vicino al confine iracheno, utilizzate da milizie filo iraniane.
L’imbarazzo per il governo iracheno, secondo un comandante delle Pma, potrebbe in realtà nascondere sviluppi più complessi e per certi versi preoccupanti, nonostante la notizia di questa momentanea tregua. I bombardamenti decisi da Washington sarebbero stati condotti infatti nel proposito indiretto di “punire” lo stesso Al Khadhimi, reo di aver partecipato, di fatto sponsorizzandola, lo scorso sabato a una parata militare nella provincia di Diyala che segnava il settimo anniversario dalla fondazione delle stesse Forze di mobilitazione popolare, formate nel 2014 per combattere l’avanzata del sedicente Stato Islamico ma oggi impegnate nel tentativo di stimolare il ritiro delle truppe americane dall’Iraq, con e anche senza il sostegno di Teheran. Un gesto, quello di Al Khadhimi, che se per certi versi risultava “dovuto” (le Pmu sono ufficialmente inquadrate nelle Forze armate irachene, di cui di fatto costituiscono un tipo di forze speciali) non sarebbe piaciuto né a Moqtada Al Sadr, ex leader dell’Esercito del Mahdi e recentemente allontanatosi da Teheran (nonché rappresentante di una maggioranza in Parlamento che spinge per la fine dell’influenza iraniana, oltre che per il ritiro Usa), né soprattutto a Washington che conta sulla sua “neutralità”.