Non si può sospendere la pensione o l’indennità disoccupazione ai mafiosi e ai terroristi che stiano scontando la pena fuori dal carcere. È quello che sostiene la corte Costituzionale nella sentenza numero 137, di cui il relatore è il giudice Giuliano Amato, già presidente del Consiglio. Secondo la Consulta, dunque, la revoca delle prestazioni assistenziali, fondate sullo stato di bisogno, ai condannati in via definitiva per reati di mafia o terrorismo, i quali stiano scontando la pena in modalità alternativa alla detenzione, contrasta con due articoli della Costituzione: il 3 (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”) e il 38 (“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”). La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata nel 2019 dalla sezione Lavoro del tribunale di Fermo, nei confronti dei commi 58 e 61 dell’articolo 2 della legge 28 giugno 2012, n. 92 , la cosiddetta Fornero che disciplinava disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita.
Secondo la Corte “è irragionevole che lo Stato valuti un soggetto meritevole di accedere a tale modalità di detenzione“, cioè quelle fuori dal carcere, “e lo privi dei mezzi per vivere, quando questi sono ottenibili solo dalle prestazioni assistenziali. Sebbene queste persone abbiano gravemente violato il patto di solidarietà sociale che è alla base della convivenza civile, attiene a questa stessa convivenza civile che ad essi siano comunque assicurati i mezzi necessari per vivere”. Il comma 58, infatti, prevedeva per i condannati per mafia e terrorismo che il giudice disponesse la sanzione accessoria della revoca di eventuali indennità di disoccupazione, assegno sociale, pensione sociale e pensione per gli invalidi civili. Il comma 61, invece, stabilisce che tale revoca, con effetto non retroattivo, è disposta dall’ente erogatore nei confronti dei soggetti già condannati con sentenza passata in giudicato all’entrata in vigore della legge n. 92 del 2012. Adesso le due norme rimarranno in vigore solo per i condannati per reati di mafia o terrorismi che però sono detenuti in carcere. Nessun effetto sulle norme successive che citano la medesima legge 92 del 2012, come quella che introduce il reddito di cittadinanza, visto che specificano come l’eventuale stop si applica solo ai soggetti condannati a pena detentiva.