Economia

Whirlpool Napoli, il grande bluff: l’intenzione di chiudere era già nel bilancio 2018. Ora il gruppo licenzia mentre gli utili salgono

Se all'epoca la crisi del bianco poteva in parte giustificare la necessità di ridurre i costi nell’area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa), oggi non più: la multinazionale Usa ha chiuso il 2020 con 1 miliardo di profitti, dividendi crescenti ai soci per l’ottavo anno consecutivo e 2 miliardi utilizzati per buy back anziché per investimenti produttivi

Dall’annuncio sui social di Luigi Di Maio nell’ottobre 2018 – “ce l’abbiamo fatta, accordo raggiunto con Whirlpool” – al licenziamento collettivo dei 400 dipendenti della multinazionale degli elettrodomestici annunciato per giovedì 1 luglio, appena scaduto il blocco. Al netto della speranza dei lavoratori nella richiesta di altre 13 settimane di cassa integrazione. Tra l’enfasi di allora e la drammaticità dell’oggi c’è un abisso temporale, un sorta di buco nero, in cui l’azienda americana pare aver giocato con il governo e i sindacati al tavolo da poker. Tra promesse, rinvii – Whirlpool non chiuderà a Napoli”, garantiva nell’ottobre 2019 Stefano Patuanelli– e ricerca di soluzioni i vertici hanno temporeggiato a più non posso per camuffare un bluff che appare studiato a tavolino fin dall’inizio.

Nel bilancio del gruppo di fine 2018 erano scritte a chiare lettere le intenzioni del gruppo, in Europa e in Italia. In quel documento contabile Whirlpool, che aveva appena siglato l’accordo sull’Italia che assicurava strategicità non solo per Napoli ma per tutti gli altri siti italiani, chiariva espressamente che avrebbe avviato forti azioni di recupero dei costi nell’area Emea (cioè l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa). L’unica area globale del gruppo in affanno con una redditività divenuta negativa già nel 2017. Prometteva una forte ristrutturazione con oneri per 200 milioni di dollari e soprattutto preannunciava un taglio di costi fissi strutturali per almeno 50 milioni di dollari. Il tutto da chiudersi entro il 2019. Certo quei 50 milioni di dollari erano sparsi in giro per l’intera regione. L’uscita dalla Turchia e il ridimensionamento in Sudafrica erano le architravi del piano. Ma era già chiaro che l’accetta sarebbe caduta anche sull’Italia e su Napoli in particolare.

I manager d’Oltreoceano della multinazionale, quelli che decidono le strategie globali e che rispondono agli investitori che chiedono profitti trimestrali sempre più ghiotti, l’avevano messa giù dura. Nel bilancio dicevano che l’area Emea ha comportato svalutazioni di asset per la bellezza di 579 milioni di dollari. Tali da far tingere di rosso per la prima volta, nel 2018, l’intero bilancio del gruppo quotato a New York. Immaginatevi l’allarme rosso in cabina di regia. Occorreva intervenire al più presto per evitare un altro anno, il 2019, in perdita per colpa di una sola delle aree mondiali di operatività. Sempre nel documento contabile fu messo nero su bianco che solo per oneri di ristrutturazione Whirlpool Emea aveva messo sul piatto 125 milioni di dollari nel 2018.

Letta così suona quasi beffardo l’annuncio fatto a marzo del 2019 di riconfermare un nuovo piano industriale 2019-2021 per l’Italia in cui si promettevano 250 milioni di investimenti nell’arco dei 3 anni. Una partita a poker con le carte coperte fin dall’inizio vien da pensare. Con le nostre istituzioni, l’allora ministro Di Maio in testa, che presero ogni volta per buoni gli impegni sottoscritti dai vertici italiani del gruppo degli elettrodomestici. Resta alle cronache con un retrogusto semi-amaro l’annuncio sui social del 30 ottobre 2018 di un galvanizzato Di Maio: “Ce l’abbiamo fatta: accordo raggiunto con Whirlpool. Non licenzierà nessuno e anzi riporterà in Italia parte della sua produzione che aveva spostato in Polonia. Nessuno perderà il posto di lavoro”. Tutto avveniva mentre Whirlpool nel suo bilancio di quell’anno metteva in chiaro le intenzioni bellicose sulla sua area meno profittevole.

Del resto difficile “giocare” a mani vuote contro le grandi multinazionali. Neanche la promessa fatta da Giuseppe Conte ancora nel 2020 di massima disponibilità nei confronti dell’azienda con la promessa di incentivi, decontribuzione fino al 30% e garanzia Sace su eventuali prestiti, hanno smosso la multinazionale americana. Se questa ormai è storia, convulsa e tragica per i lavoratori, il presente e il futuro dicono che il big del bianco non ha risentito affatto degli impatti della crisi di produttività e perdite dell’impianto napoletano. Se potevano essere giustificate le fughe dall’Italia alla luce degli impatti negativi dell’epoca, ora molto meno. Dato che il ciclo negativo si è subito interrotto.

A livello globale il momento dell’industria del bianco e di Whirlpool è tra i più favorevoli. Nel 2020 l’azienda Usa ha fatturato a livello globale 19,5 miliardi di dollari con un margine operativo salito in un anno dal 6,3% al 9,1%. Con un ritorno sugli investimenti record dell’11%, un utile netto da 1 miliardo, quando nel 2018 fece 183 milioni di perdite. Il gruppo Usa scoppia di salute con una produzione di cassa libera di ben 1,24 miliardi nel 2020. L’azienda tra l’altro conferma che per il 2021 si attende un margine operativo sul fatturato sopra il 10%. L’intera area Emea (l’Europa e il Medio Oriente) che ai tempi della vertenza di Napoli era in sofferenza, ha riagguantato margini positivi lo scorso anno.

Non solo, ma che Whirlpool stia bene finanziariamente lo dice anche il fatto che ha investito 2 miliardi, più che per investimenti produttivi, per ricomprarsi le proprie azioni. Liquidità in eccesso che viene impiegata per remunerare i propri soci, anziché investire in prodotto. L’altro segnale di buona salute a livello globale lo dicono i dividendi, saliti ulteriormente per l’ottavo anno consecutivo. Dividendi che non mancavano ai soci anche negli anni difficili della telenovela amara sul disimpegno da Napoli. Che tutto è stato tranne un fulmine a ciel sereno.