di Gianfranco Pagliarulo*

Il caso Vattani non è chiuso. Non basta la risposta della viceministra degli Esteri Marina Sereni all’interrogazione dell’on. Morassut per risolvere una vicenda che riguarda un punto delicatissimo dell’organizzazione dello Stato e cioè la nomina di un ambasciatore, vicenda che, oltre a rappresentare il paradosso di un diplomatico nominato ambasciatore nonostante questi non abbia mai ripudiato la sua fede fascista, presenta molti punti oscuri.

Mario Vattani nel 1989 è coinvolto in un’aggressione di un gruppo di naziskin nei confronti di due persone davanti al cinema Capranica a Roma. Secondo la testimonianza raccolta dal Fatto quotidiano del 30 maggio 2021 “anche Vattani fu prosciolto da ogni accusa”, ma qualcuno risarcì i due ragazzi massacrati “con una provvisionale di 90 milioni di lire ciascuno, ottenendo in cambio il ritiro del processo di rito civile”. Chi e perché ha versato quel denaro? E a quale scopo?

Il giovane Vattani intraprende ben presto la carriera diplomatica, essendo peraltro figlio dell’autorevolissimo e potentissimo diplomatico Umberto, due volte Segretario generale del ministero degli Esteri.

Nel maggio del 2011 Vattani è protagonista di un pubblico concerto organizzato da Casapound. Nella esibizione, accompagnato dalla sua band “Sotto fascia semplice”, Vattani canta canzoni che inneggiano alla Rsi e denigrano la Repubblica italiana, “fondata sui valori degli epuratori (…), sui valori della violenza, del tradimento e dell’arroganza (…), sulla lotta armata fatta da banditi e disertori, dinamitardi e bombaroli”. In quella circostanza Vattani saluta con il braccio teso.

Successivamente nominato console alla sede di Osaka in Giappone viene richiamato a Roma per essere sottoposto a provvedimento disciplinare a causa del suo “concerto”. Eppure, come confermato da varie sentenze della Cassazione, era potenzialmente perseguibile in base alla Legge Scelba. Ma in quella circostanza nessuno, e in particolare nessuna autorità del Ministero, si è rivolto alla magistratura ordinaria. Viceversa il ministero si è limitato a ricorrere al Testo unico delle disposizioni concernenti lo Statuto degli impiegati civili dello Stato (Decreto del PdR 3 del 1957).

Come ricorda la viceministra, il provvedimento si concluse con la sospensione dal servizio per 4 mesi in base all’art. 81 del Testo unico. Leggendo tale testo sembrerebbe che la sospensione sia inflitta “per comportamento non conforme al decoro delle funzioni”. Perché non si è invece ricorso all’art. 84 del medesimo Testo unico ove si scrive fra l’altro che “la destituzione è inflitta: a) per atti quali rivelino mancanza del senso dell’onore e del senso morale; b) per atti che siano in grave contrasto con i doveri di fedeltà dell’impiegato”? Come è noto la Costituzione prescrive all’articolo 54 che “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”. Tale adempimento è evidentemente tanto più cogente quanto più alta è la responsabilità pubblica. La viceministra afferma che tale sanzione “fu adottata dopo un attento esame dei fatti, nel rispetto della normativa e dell’inderogabile principio di proporzionalità”. Su quali basi sostiene tale affermazione in ragione di un comportamento che, come già scritto, avrebbe potuto essere perseguito penalmente? Quale sarebbe la “proporzionalità”?

Successivamente Vattani, come ricordato dalla viceministra, ricopre l’incarico di “coordinatore con i rapporti fra l’Unione Europea e i Paesi dell’Asia-Pacifico sia sul piano bilaterale che multilaterale”. Al di là della roboante denominazione, non è affatto chiara l’importanza dell’incarico. Ove si sia trattato di un incarico minore, non si capisce come questo abbia potuto costituire un particolare titolo di merito per il signor Vattani. Ove si sia trattato di un incarico davvero importante, è inspiegabile come tale responsabilità, a parità di possibilità per tanti altri diplomatici, sia stato affidata ad una persona già sanzionata per un comportamento così grave. La viceministra afferma che in tale ruolo il signor Vattani “ha prestato un servizio valutato di eccellente qualità e oggetto di apprezzamento da parte dei suoi superiori e degli interlocutori istituzionali come ampiamente documentato”. Al di là delle dinamiche e delle gerarchie interne alla Farnesina, che pure andrebbero approfondite, quali sarebbero gli interlocutori istituzionali? E dove sarebbe l’ampia documentazione?

La viceministra inoltre afferma che Vattani è “uno dei funzionari più preparati sulle tematiche dell’Estremo Oriente in ragione della sua formazione professionale e delle specifiche esperienze di carriera”. Quali sono i titoli che attestano tale formazione professionale? In particolare rispetto all’analoga formazione di altri diplomatici? Le “specifiche esperienze di carriera” a quanto pare si risolvono con l’incarico di consigliere commerciale all’Ambasciata a Tokio e successivamente console a Osaka per soli 11 mesi. Tokio e Osaka sono in Giappone, straordinario Paese la cui storia, però, è solo una parte della più generale storia di un continente che comprende la Cina e tanti altri Stati, che hanno storie del tutto diverse da quella giapponese ed in alcuni casi conflittuali. Dov’è la certificazione della preparazione sulle tematiche dell’Estremo Oriente?

E infine la questione essenziale: la nomina di Vattani ad ambasciatore italiano a Singapore non è affatto un diritto sancito dalla legge ma una libera scelta del governo su proposta del ministro degli Esteri che ha privilegiato un diplomatico rispetto ad altri che potevano legittimamente ambire a tale responsabilità non essendo stati, peraltro, soggetti ad analoghe sanzioni disciplinari. Perché la viceministra parla di “rispetto della legge”, arrivando ad affermare in modo francamente temerario che “rinunciare a una rigorosa tutela e applicazione delle regole e dello stato di diritto (…) rappresenterebbe un tradimento di quegli stessi valori”? La viceministra parla dei valori dell’antifascismo. Le regole e lo stato di diritto – spiace dirlo – non c’entrano per nulla con la libera scelta effettuata e parlare di “tradimento” nei confronti della richiesta, da parte di tanti antifascisti, di revoca dell’incarico al signor Vattani è quanto meno sgradevole.

Peraltro la vice ministra si contraddice clamorosamente quando afferma, a proposito della nomina degli ambasciatori, che “l’alto ruolo istituzionale che ricoprono impone loro una stretta aderenza ai valori della nostra Costituzione”. E’ esattamente questa la ragione per cui continuiamo a chiedere l’immediata revoca dell’incarico a Vattani. Vattani non può essere un ambasciatore della Repubblica democratica italiana fondata sull’antifascismo.

Non siamo affatto rassegnati a una chiusura del caso. Per questo continuiamo la nostra battaglia cominciando da giovedì 8 luglio, quando ci recheremo alle 18 in uno dei santuari della Repubblica, a Montesole (Marzabotto), con la sua sindaca Valentina Cuppi, il deputato Roberto Morassut, la staffetta partigiana Flora Monti, il sindaco di Stazzema Maurizio Verona, per chiedere con ancora più forza la revoca di tale nomina. Lo dobbiamo anche alle povere vittime del nazifascismo, come quelle di Marzabotto, di via Tasso, di Sant’Anna di Stazzema, della Risiera di San Sabba, delle Fosse Ardeatine, delle centinaia di luoghi del nostro Paese dove sono stati assassinati coloro che combattevano per quella libertà e quella Repubblica che il fascista Vattani ha dileggiato e offeso e che oggi si onorerebbe di rappresentare. Non è tollerabile.

*l’autore è presidente nazionale dell’Anpi

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