Il 5 luglio, nel decimo anniversario della morte di Enrico Manca, la moglie Cristina ed un gruppo di suoi stretti collaboratori ed amici ricorderanno la sua figura e la sua intensa vita politica. Riporto qui di seguito la mia testimonianza.
Ho conosciuto Enrico Manca nel 1958. Avevo 20 anni, ero socialista per tradizione di famiglia (mio padre era stato un giovane collaboratore di Matteotti fino alla sua tragica fine). Anche per questo – quando la Federazione Giovanile Socialista incaricò me e due compagni di università, Cesare Giannotti e Luigi Fulci, di dar vita ad un cineclub socialista (il “Circolo Cinematografico Aldo Vergano”, che visse per quasi dieci anni e con notevole successo), fui colpito dal trovare, fra i dirigenti autorevoli del più attivo organismo culturale del PSI, la “Comunità delle Arti”, cui il nostro cineclub faceva riferimento, proprio un figlio di Matteotti, Matteo, affiancato da Mario Zagari, Pio De Berti ed Enrico Manca.
Con Manca ebbi però, all’epoca, solo contatti sporadici, fino all’ottobre del 1980. A quel tempo ero “in castigo” a Napoli, a capo di un fantomatico “ufficio IRI per il Mezzogiorno” dove il nuovo presidente dell’Iri, Pietro Sette, mi aveva relegato perché ero stato uno dei giovani dirigenti che prima avevano messo in crisi il presidente Petrilli e poi avevano apertamente criticato la scelta, come suo successore, proprio dell’avvocato Sette.
Dopo un anno di permanenza a Napoli, Manca – nell’ottobre del 1980 – fu nominato ministro per il Commercio Estero nel governo Cossiga ed Alberto La Volpe, fraterno amico di Manca e mio, gli suggerì di scegliermi come suo capo ufficio stampa. La sera stessa ero a Roma e due giorni dopo all’Eur, nella sede del Ministero del Commercio Estero: un incarico dove rimasi per un paio di anni (governi Cossiga 2 e governo Forlani). Quando Manca divenne presidente della Commissione Industria della Camera (nel biennio 1982-1984), io, dopo essere stato capo ufficio stampa di De Michelis alle Partecipazioni Statali, fui distaccato dall’IRI alla Camera. Poi seguii Manca alla Rai, come direttore delle Relazioni Esterne (e co/fondatore di UmbriaFictionTV), e infine all’Isimm, come segretario generale dell’Istituto, fino alla morte di Enrico. Dunque, posso senz’altro affermare di essere stato uno dei più “longevi” collaboratori di Manca (31 anni sono un bel record), oltre che un suo fraterno amico. A lui devo gran parte di quel che ho imparato – e ottenuto – nella mia movimentata vita di lavoro.
Se dovessi definire Manca con una parola, direi “l’innovatore”.
Al Commercio Estero Manca vide subito l’inadeguatezza del principale strumento di azione del Ministero, l’ICE (Istituto per il Commercio Estero) e nominò una commissione per la sua riforma (Sabino Cassese presidente ed io segretario) che in un paio di mesi sottrasse l’ICE al mondo sonnacchioso del “parastato” e ne fece una “agenzia” con caratteristiche privatistiche; furono aperti nuovi uffici e scelti dirigenti di alto livello (quello mandato a New York realizzò, in un anno, il sorpasso dei vini italiani su quelli francesi, per fare solo un esempio). E Manca aprì nuove possibilità per le aziende italiane con una serie di viaggi che meriterebbero un resoconto a parte.
Come Presidente della Commissione Industria della Camera Manca organizzò gli “Stati Generali della Innovazione”. Fu un grande “evento”, cui parteciparono tutti i maggiori esponenti delle imprese pubbliche e private (ricordo fra gli altri Agnelli, Romiti, Pirelli e Carli) e da cui scaturì dopo pochi mesi la legge numero 46, che Manca riuscì miracolosamente a far approvare in Commissione. La legge istituiva un fondo rotativo per favorire l’innovazione tecnologia nell’industria italiana, con un primo stanziamento di 600 miliardi (che all’ epoca erano una somma consistente). I 600 miliardi sostennero diversi progetti di innovazione ma con i successivi governi la legge non fu più rifinanziata, a riprova della discontinuità (e della inconcludenza) di gran parte delle scelte di politica industriale in Italia.
Posso essere più sintetico – perché si tratta di vicende più note – sull’operato di Manca come presidente della Rai, dal 1986 al 1992. Anche alla Rai Manca mi volle al suo fianco, come direttore delle Relazioni Esterne, dove coniai lo slogan “Rai, di tutto di più”. Erano i tempi in cui Berlusconi – che aveva sottratto alla Rai molte delle sue star, fra cui Pippo Baudo e Raffaella Carrà – sembrava prossimo a realizzare il “sorpasso” sulla Rai. Ma Manca e il dg Biagio Agnes realizzarono in tempi da record una riorganizzazione della RAI fortemente innovativa (cito ad esempio la nascita di Rai tre e del Tg3), con dirigenti di altissimo livello, fra i quali ricordo in particolare – anche per amicizia personale – i due vice direttori generali Emmanuele Milano e Massimo Fichera, il direttore di Rai tre Angelo Guglielmi e quello del Tg2 Alberto La Volpe.
Dopo due mandati alla Rai, Manca diede vita ad un Istituto che fin dal suo nome rifletteva la sua grande passione (l’ISIMM, Istituto per l’Innovazione nei Mass Media). Ancora una volta lo raggiunsi come Segretario Generale dell’Istituto, ed insieme demmo vita ad una attività frenetica, facendo in modo che praticamente tutte le aziende italiane interessate ai temi statutari dell’Istituto entrassero come soci di ISIMM. La finalità che Manca diede all’Istituto era quella inedita di luogo di incontro e di dialogo fra tre realtà che comunicavano poco e male: aziende, università e politica. In alcuni anni di attività frenetica realizzammo almeno 40 convegni o “eventi” di grande respiro, per ognuno dei quali è restato un “quaderno” con le relazioni e gli interventi: una piccola “miniera” per chi volesse riflettere sulla innovazione nei media.
Negli ultimi tempi della sua vita (morì il 5 luglio del 2011, a 79 anni) fu anche presidente della Fondazione Bordoni, che collaborò proficuamente con l‘ISIMM.