di Ilaria Muggianu Scano

Mentre l’Italia tutta è concentrata sull’avventura europea degli Azzurri di Mancini, non manca chi riserva attenzione anche al calcio storico e ai suoi protagonisti assoluti, uno su tutti Gigi Riva. Da qui nasce la scelta di Riccardo Milani, reduce dalle ultime fatiche del sequel di Come un gatto in tangenziale. Ritorno a Coccia di Morto, pluripremiato film sui neo Giulietta-Cortellesi di Bastogi e Romeo-Albanese dei Parioli.

Milani dichiara: “Raccontare Riva vuol dire anche raccontare un pezzo importante della storia del nostro Paese”. Il docufilm su Riva, intitolato Nel nostro cielo un rombo di tuono, è prodotto da Mario Gianani e Lorenzo Gangarossa per Wildside, società del gruppo Fremantle, e coprodotto da Vision Distribution, che lo distribuirà in Italia e nel mondo. Gigi Riva, 76enne, insignito del titolo di Presidente onorario a vita del Cagliari Calcio dal dirigente Tommaso Giulini, sarà protagonista della struggente favola ricostruita dall’occhio attento di Milani.

Gigi Riva è il simbolo del migliore calcio italiano. Detentore del primato imbattuto di capocannoniere della nazionale italiana con 35 gol su appena 42 presenze, il “Rombo di tuono”, così battezzato dalla geniale inventiva di Gianni Brera, è simbolo del riscatto sociale per esperienza. Nato sulle rive del Lago Maggiore, figlio di una famiglia di modeste condizioni economiche, dopo essere rimasto orfano di padre morto tragicamente sul posto di lavoro si ribella con fierezza alla carità pelosa di certi circuiti benefici dell’epoca. Il talento inarginabile non gli fa mai mancare il pane: già dalla primissima adolescenza sono numerose le squadre locali che si contendono le prestazioni del varesino, così che il ragazzino si trova a disputare anche tre partite in una sera, in cambio beni in natura come latte e burro.

È l’ossevatore Andrea Arrica a portarlo al Cagliari nel ’63, quando ancora il team rossoblù milita in serie B. Ma se la gratitudine del popolo sardo è spesso dipinta come ingenua e incline alla deificazione dei propri eroi, stavolta è vero che questo dio, nuovo di zecca è quanto di più lontano dal biblico vitello d’oro di Aronne. Primo storico traguardo del fuoriclasse di Leggiuno è portare per la prima volta il Cagliari in serie A. La certezza matematica arriva il 14 giugno 1964, giorno del compleanno dell’allenatore Arturo “Sandokan” Silvestri.

Un dio sardomorfo quello incarnato da Gigi Riva, a immagine e somiglianza di quel popolo fiero, schivo, tenace e di poche parole. Quel mito che condurrà la maggiore squadra dell’isola alla conquista dello scudetto di serie A nell’aprile del 1970. È il mitologico riscatto di un popolo vittima di dolorosi luoghi comuni, degli emigrati camerieri, operai, minatori, pastori che inseguivano la squadra in ogni angolo d’Europa e che in quell’alfiere della nazionale (che riuscì a vincere anche l’Europeo nel ’68), sfiorarono il sogno del Mundial ’70. Il mancino d’oro approda in Messico con un ruolino di marcia forte di 19 reti in sedici partite. Sono anni fulgidi di ogni fortuna tanto da valergli il soprannome di Brenno, condottiero gallo, capo dei Celti che ridusse in ginocchio Roma, forte del motto “Guai ai vinti!”. Sono gli anni in cui, infaticabilmente, le squadre blasonate del Nord, dalla Juventus (la più insistente) al Milan, lo corteggiano a suon di miliardi ma Riva, invariabilmente, risponderà: “Voglio rimanere qui perché i pastori partono di notte per vederci giocare a Cagliari e non hanno che la squadra, noi. Giochiamo per loro, per la gente di Sardegna”.

A partire dal 2005 il numero 11 indossato storicamente dal goleador sarà ritirato dalla Società Cagliari Calcio in segno di rispetto per l’uomo d’oro del calcio italiano. E dall’universo di Lari e Penati esposti nel tinello di tante antiche famiglie sarde, tra le foto di santi e familiari, Gigi Riva entra con onore nell’Olimpo degli eroi nazionali come l’uomo che visse due volte.

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