È entrata in vigore in Italia la nuova direttiva europea contro la plastica monouso. Non vi aspettate cambiamenti radicali: la direttiva proibisce soltanto cose di cui si può fare a meno: cannucce per le bibite, stoviglie di plastica, contenitori usa e getta, e cose del genere. Ci sono poi nuove regole che riguardano altri oggetti in plastica, ma, in generale, continuerete a usare borse di plastica per fare la spesa, a sedervi su panchine di plastica, a usare indumenti di materiale sintetico, e tante altre cose.
Ma qualcosa è cambiato profondamente ed è sorprendente che si sia arrivati a una proibizione completa di certi usi per un materiale che per tanto tempo è stato un simbolo della modernità e del progresso. Forse vi ricordate quando nel film Il Laureato (1967) il protagonista si sente dire che il futuro sta in “una sola parola: plastica.” Era il tempo in cui, in Italia, Gino Bramieri faceva da testimonial per una plastica che si vendeva col nome di “Moplen”, e forse ancora qualcuno di noi si ricorda il ritornello che faceva “E mo’? Moplen!” Fa impressione pensare che prima degli anni ’70 le bottiglie di plastica “usa e getta” erano sconosciute. Ci pensate? Sembra di parlare di un’epoca altrettanto remota del Giurassico, quando c’erano i dinosauri.
Forse il cambio di paradigma è cominciato con la scoperta delle “isole di plastica” negli oceani, nel 1988. Non che siano veramente delle isole: non vi aspettate di poterci camminare sopra. Sono delle aree in cui i rifiuti di plastica si accumulano in forma di piccole particelle, ma sono enormi. Da questo, abbiamo cominciato a capire che la plastica che buttiamo via non sparisce. In gran parte, va a finire da qualche parte, nei fiumi, nel mare, nel terreno, ovunque. Da lì finisce assorbita dalle piante che crescono, e poi nello stomaco degli animali. Alla fine, ce la ritroviamo in quello che mangiamo e poi nel nostro corpo. Fanno male queste microparticelle? Non lo sappiamo, però non è il caso di scommettere che siano innocue.
Uno dei problemi con la plastica è che si ricicla male perché ne esistono tantissimi tipi. Ma è anche un materiale alieno alla biosfera terrestre: è impossibile farla veramente sparire a meno di non ritrasformarla in petrolio e poi pomparlo nel fondo dei pozzi, da dove era venuto. Non serve nemmeno bruciarla in un inceneritore: vuol dire solamente trasformarla in anidride carbonica che finisce nell’atmosfera a causare riscaldamento globale. Conta poco che in alcuni casi si possano usare bioplastiche o plastiche biodegradabili. Sono cose che introducono ulteriori complicazioni in un sistema di gestione dei rifiuti che è già troppo complesso così com’è. A parte poi che, in pratica, queste plastiche non sono mai al 100% di origine biologica e nemmeno al 100% biodegradabili.
Per farvi un esempio del problema, sulla mia scrivania tengo un oggetto che ho comprato in un bar qualche anno fa. È una scatolina trasparente con dentro una decina di fettine di mela essiccata. Suppongo che qualche mamma frettolosa la poteva comprare come merenda per i suoi bambini, senza pensare troppo al fatto che pagava più che altro per la plastica (che poi buttava via). Forse poi qualcuna di queste scatoline sarà finita davvero nel circuito del riciclo, ma molte saranno sicuramente andate nei rifiuti non differenziati, oppure semplicemente sparpagliate in giro. Quindi, al costo già spropositato delle mele va aggiunto quello dell’inquinamento. Un po’ come ai tempi di Adamo ed Eva: quando una mela costava un’iradiddio.
Si diceva una volta “vai a scopare il mare!” per indicare un’impresa impossibile. Ripulire il mare dalla plastica accumulata è una di queste imprese ma, in generale, non ce la facciamo più a gestire la plastica con i metodi usati fino ad ora. E allora bisogna agire in modo diverso. La direttiva europea è un primo passo, ma stabilisce un principio importante: quello che non serve e che fa danni non va prodotto. Gradualmente, dovremmo arrivare a liberarci da questa robaccia che sta invadendo il mondo. Ci dovremo arrivare comunque, prima o poi, se non altro perché la materia prima con la quale si fabbrica la plastica, petrolio, non è infinita.