“Un marcio sistema predatorio e lucrativo, talora reso possibile grazie a limitate, ma assai incisiva, complicità e connivenze interne“. Si riassume in questa frase degli inquirenti vaticani la vicenda dei fondi della Segreteria di Stato di Oltretevere che hanno visto il rinvio a giudizio di 10 persone tra cui il cardinale Angelo Becciu. Nell’indagine, “si è potuto rilevare”, scrivono i pm nel fascicolo d’accusa, “il ruolo avuto nel tempo e in diversi contesti operativi da vari soggetti estranei alla struttura ecclesiale – spesso improbabili se non improponibili – attori di un marcio sistema predatorio e lucrativo, talora reso possibile grazie a limitate, ma assai incisive, complicità e connivenze interne“. Quanto ai fatti in sé, emerge “un intreccio, quasi inestricabile, tra persone fisiche e giuridiche; fondi di investimento; titoli finanziari – quotati e non – banche ed istituti di credito di varia tipologia, ampiezza e trasparenza d’agire”. Vicende ordinate “appositamente interessate ad attingere alle risorse economiche della Santa Sede, spesso senza alcuna considerazione delle finalità e dell’indole della realtà ecclesiale”.
L’Ufficio del promotore di Giustizia vaticano, con il contributo degli uomini della Gendarmeria, ha ricostruito attraverso intercettazioni, analisi forensi dei dispositivi sequestrati e testimonianze il quadro delle vicende che si sono snodate attorno all’acquisto dell’immobile di Sloane Avenue a Londra da parte della Segreteria di Stato che ha portato al decreto di citazione a giudizio. Un documento di quasi 500 pagine in cui vengono analizzate nel dettaglio le dinamiche che hanno portato a investimenti costati ingentissime perdite alle finanze vaticane.
Grande impulso alle indagini è stato dato dalle dichiarazioni di monsignor Alberto Perlasca, responsabile dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato per 10 anni (dal 2009 al 2019), che ha cominciato a collaborare con gli inquirenti a fine agosto 2020, fornendo, come si legge nel decreto di citazione a giudizio, “un prezioso contributo per la ricostruzione di alcuni momenti centrali della vicenda relativa al palazzo di Londra”.
Anche l’architetto Luciano Capaldo, ex collaboratore del finanziere Gianluigi Torzi e attuale gestore dell’immobile di Londra, viene giudicato “una fonte dichiarativa importante” dai magistrati vaticani, a cui ha fatto tra l’altro pervenire un articolato dossier informativo sul palazzo di Sloane Avenue che per i pm della Santa sede “costituisce un prezioso punto di riferimento, oltre che per inquadrare i termini di riferimento dal punto di vista economico dell’operazione, anche per illuminare sui ruoli svolti da Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi”.
Quanto al cardinale Angelo Becciu, ex Sostituto della Segreteria di Stato che in relazione alla vicenda parla di “gogna mediatica” e “trame oscure” alle sue spalle, a quanto scrive l’Ufficio del promotore di Giustizia vaticano, avrebbe interferito nel procedimento penale prima ancora di esserne coinvolto. A supporto di questa ipotesi nelle carte si riporta un sms di Becciu all’allora gestore delle finanze vaticane, Enrico Crasso, risalente al 23 gennaio 2020: “Al momento giusto – scrive il cardinale – bisognerà fare una bella campagna stampa!! Anzi lei potrebbe farla subito. Chieda al suo avvocato se è il caso di sburgiardare subito i nostri magistrati!”.
Sempre nella richiesta di rinvio a giudizio si legge che il porporato si è trincerato dietro presunte esigenze di tutela della segretezza di Stato: “Negando categoricamente di aver mai, contrariamente a quanto contestato, sottratto, appropriandomene e convertendola in profitto, la somma di 575mila euro contestata (o, per vero, qualsiasi altra), ritengo, ai sensi dell’art. 248, c. 2, c.p.p., e soprattutto in coscienza, di non poter essere interrogato su questi fatti e circostanze e sulle decisioni assunte, peraltro concordati con il Santo Padre, perché costituenti segreto politico concernente la sicurezza dello Stato”.
Il denaro, secondo le accuse, sarebbe stato versato a Cecilia Marogna che lo avrebbe speso in beni di lusso. Nella dichiarazione riportata nella richiesta di citazione a giudizio, Becciu nega “categoricamente di aver mai, contrariamente a quanto contestato, sottratto, appropriandomene e convertendola in profitto, la somma di 575.000 euro contestata”. Quanto alla manager cagliaritana, pur non avendo acconsentito a farsi interrogare dagli inquirenti vaticani la sua versione l’ha data ai giornalisti di Report, spiegando, si riporta nella richiesta, “che era stata incaricata dal Cardinale di svolgere attività di dossieraggio, su figure interne al Vaticano, a mò di servizio segreto parallelo”.
Nella sua dichiarazione, Becciu ha spiegato di aver conosciuto Marogna nel 2016: “Conobbi la Signora Marogna nell’ottobre del 2016, a seguito di una sua richiesta di presentazione nella quale ella si introduceva quale esperta di diplomazia e servizi di intelligence. Accondiscesi ad un incontro conoscitivo, anche dopo aver acquisito informazioni da fonti privilegiate, come mio costume nel caso di presentazioni per motivi di ufficio, sulla effettiva conoscenza della Signora e della sua competenza a conoscere e trattare di siffatti argomenti. Nel corso dell’incontro, la Signora mi illustrò le proprie competenze e ne discorremmo genericamente. Alla conclusione, tuttavia, le partecipai la inutilità, allo stato, per il mio Ufficio, di una simile figura professionale, invitandola a rivolgersi, eventualmente, agli Uffici di Gendarmeria, che mi pareva potessero, per ragioni di materia, essere un interlocutore più qualificato”.
Gli inquirenti vaticani nella richiesta sottolineano di essere interessati a mettere in discussione il Segreto di Stato, tuttavia “quel che chiaramente non è accettabile sul piano logico, né plausibile su quello giuridico, è che possano essere ritenute coperte da segreto spese che, con tutti gli sforzi del caso, in nessun modo possono essere ricondotte ad attività di intelligence”. Marogna dal canto suo fa sapere di non temere nulla e si meraviglia di essere accomunata all’inchiesta del palazzo di Londra, alla quale si dice del tutto estranea. La manager, ha riferito all’Adnkronos il coordinatore del suo collegio difensivo, Riccardo Sindoca “ha da mesi pronta la rendicontazione totale del proprio operato e nulla teme in ordine alle contestazioni a lei mosse”. Anzi, Marogna “trova alquanto inusuale il solo fatto di essere stata accomunata a chi ha operato sul fronte londinese in acquisizioni a vario titolo da cui la stessa è sempre stata estranea e mai nemmeno chiamata ad esprimersi dalla Segreteria di Stato”, aggiunge Sindoca.
Parla invece di “abbaglio processuale” l’ex presidente dell’Autorità di informazione finanziaria (Aif), lo svizzero René Brülhart. “A prescindere dal fatto che a dispetto di quanto riportato dagli organi di stampa resto ancora in attesa di una formale notifica da effettuarsi secondo le norme di legge, rilevo che la vicenda costituisce un abbaglio processuale che sarà immediatamente chiarito dagli organi di giustizia vaticana non appena la difesa sarà posta in condizione di poter esercitare i suoi diritti”, si legge in una nota dell’accusato di abuso d’ufficio. “Ho sempre svolto le mie funzioni ed i miei compiti con correttezza, lealtà e nell’esclusivo interesse della Santa Sede e degli organi che la rappresentano – aggiunge Brülhart -. Affronto con serenità tale vicenda nella convinzione che le accuse nei miei confronti si diraderanno come nebbia al sole”.
Pone questioni di tempo, invece, l’avvocato Ambra Giovene difensore, insieme al collega Marco Franco, del broker molisano Torzi. “Non ho ancora letto il decreto di citazione, un decreto corposo, più complesso di quello che ci saremmo aspettati perché coinvolge anche delle società. Io trovo inaccettabile che si fissi un processo il 27 luglio perché non ci viene dato il tempo di organizzare una difesa seria, adeguata, degna di questo nome”, ha detto all’Adnkronos. “Ovviamente non si tratta solo del decreto ma anche degli atti depositati relativi a tre anni di indagini – spiega la penalista – noi abbiamo necessità di avere il tempo di organizzare la difesa. Per ora posso parlare solo a mio nome, e non a quello degli altri difensori perché gli imputati sono diversi, ma noi siamo pronti a presentare un’istanza di rinvio. Sono fiduciosa che il presidente Giuseppe Pignatone che è una persona estremamente responsabile saprà valutare con attenzione le nostre necessità”. Secondo l’avvocato Torzi sarebbe nella posizione “più svantaggiata di tutti. Torzi è in attesa di estradizione dall’Inghilterra per una ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice italiano”.