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Alessandro Preziosi a FqMagazine: “Ecco perché ho empatizzato subito con Masantonio. Gossip? Cosa da menti piccole”. E rivela il suo sogno

Dall'ultima fiction in onda su Canale 5 (domenica 4 luglio la seconda puntata) al provino "rifiutato" di cui si pente. L'attore si racconta tra progetti futuri e successi del passato

di Francesco Canino

Ad Alessandro Preziosi piace mischiare i piani e i linguaggi, sparigliare le carte più che giocare sul sicuro. Fiction popolari e teatro shakespeariano, Dante e Totò, un reading all’istituto italiano di cultura di Bruxelles e poi una serata a sfogare la sua passione per il canto all’Anema e Core di Capri, incrocio pericoloso di jet setter in cerca d’autore e gossip (che lui detesta). Per lui sarà un’estate sul palco con quattro progetti diversi, mentre su Canale 5 è Elio Masantonio, protagonista della nuova serie Masantonio-Sezione Scomparsi (domenica 4 luglio la seconda puntata, in prima serata), partita con ascolti bassi nonostante l’indubbia qualità del prodotto.

Qual è la prima impressione che ha avuto leggendo il copione di Masantonio?
“Guarda questo che tipo!”, una frase che mi sono sentito dire tante volte. È un personaggio mi ha conquistato subito. Non sono uno da serie lunghe, avevo delle remore però più leggevo la sceneggiatura più l’amavo, tanto che la prima chiacchierata con il regista e lo sceneggiatore è stata risolutiva: mi guardavano con occhi pieni di sorpresa, forse perché non si aspettavano tutta quella mia passione.

Colpo di fulmine immediato, insomma.
No, direi piuttosto che centra la capacità camaleontica di entrare alla velocità della luce nei personaggi che amo. Per altro, quando mi arrivò la proposta, era un momento particolare della mia vita.

Perché?
Mi diedero la sceneggiatura da leggere a marzo del 2019, pochi giorni prima che mi operassero alle corde vocali. Trovarono una piccola cosa che sarebbe potuta diventare qualcosa di più serio. E così mi hanno subito operato.

La voce è lo strumento dell’attore. Ha avuto paura?
Sapevo che si trattava di una cosa piccola. Ma è stato un passaggio che ha cambiato certe mie abitudini: fumavo molto, mangiavo in maniera sregolata in tournée. Di quei giorni ricordo i momenti di silenzio obbligato dopo l’intervento: lavorare su me stesso, cedere all’introspezione, è stato naturale.

Tornado a quel “guarda questo che tipo”: perché glielo dicono?
Perché sono una persona molto diretta, che entra a fianco teso nella vita delle persone, all’”intrasatta”, come diciamo a Napoli. Certi miei atteggiamenti fuori dall’ordinario e una certa lievità molto poco borghese, non sempre vengono apprezzati o capiti. In faccia mi dicono “che tipo”, alle spalle probabilmente “che stronzo”.

Masantonio è un personaggio irriverente e lei in questa irriverenza ha detto di riconoscersi. Cos’altro le è piaciuto di questo detective cinico e scontroso ma profondamente umano?
Il suo essere imperscrutabile, il non riuscire mai a capire cosa sta pensando davvero. In qualche modo mi ci ritrovo e forse per questo ho empatizzato subito con un personaggio che di empatico non ha nulla. Mi piace il suo lato oscuro, la continua indagine su sé stesso.

Le è dispiaciuto che Mediaset mandasse in onda la serie in estate, penalizzando di fatto gli ascolti?
Non mi metto a criticare le scelte aziendali. Però questa serie è un progetto in cui credo molto, ci abbiamo creduto tutti: la scrittura è potente, il livello del cast è alto, la storia ha un’evoluzione imprevedibile. Mi avrebbe fatto piacere se l’avessero messa a disposizione di una platea più ampia.

Oltre alla tv, lei sta preparando due grandi eventi teatrali. Uno è dedicato ai 700 anni di Dante.
Si tratta della DanteXperience, con la Budapest Mav Symphony Orchestra: io sarò la voce di questo spettacolo multimediale in scena il 16 luglio a Teatro Romano di Verona. Per il Festival Shakespeariano, sempre a Verona, il 27 reciterò Otello-Dalla parte di Cassio. Ho voglia di riprendermi il palco: pur avendo lavorato molto in questo anno e mezzo – ho girato anche il film di Francesco Patierno La peste, ispirato al romanzo di Camus e ambientato in una Napoli quasi deserta durante il lockdown – mi manca tantissimo il contatto diretto con il pubblico.

A lei piace da sempre mischiare i linguaggi: nel momento di massimo successo di Vivere, soap che più nazional popolare non si può, portava in scena Eumenidi e Agamennone.
Sono stato fortunato a mettere d’accordo Vivere e l’esperienza con il Teatro Stabile di Trieste: la tv mi pagava un’annualità pur lavorando di fatto sei mesi l’anno e un’esperienza beneficiava dell’altra. Molta gente è venuta a vedermi in teatro perché mi aveva visto in tv. Riuscire faticosamente ad alternare discipline e registri è una delle cose più belle di questo mestiere. Non a caso nelle prossime settimane passerò da un recital su Totò a quello sul pittore Raffaello e poi ancora un reading su La luna e i falò di Pavese. Mi piace spaziare, curiosare in mondi nuovi.

È più curioso o inquieto?
Entrambe le cose. Coltivo l’inquietudine mutuandola da Pessoa, dunque non ha nulla a che fare con la dannazione e l’estetica maudit. Sono fatto così: penso a me ma anche agli altri, spesso mi faccio carico emotivamente nelle cose, dall’ingiustizia più piccola agli avvenimenti più eclatanti, come la crisi dei 5Stellle. Chi sta nel mondo, non può non osservare, farsi delle domande e interrogarsi sulle cose. Io non ci riesco a non farmi colpire dagli eventi.

A proposito di politica: suo nonno e suo padre erano democristiani ed entrambi sono stati sindaci di Avellino. Che rapporto ha con la politica?
Ero uno del Vomero, con un papà di destra, dunque tutti davano per scontato che lo fossi anche io. Poi ho frequentato ambienti in cui eri considerato di sinistra se indossavi i pantaloni di velluto e le Clarks. Quando ho voluto capirne di più e uscire dagli stereotipi, è scoppiata Mani Pulite e la politica è crollata. Ecco, oggi mi sento un terremotato della politica: la seguo molto ma sono ideologicamente abbastanza impreparato.

Scenderebbe in politica?
Per farla ci vuole grande responsabilità, affidabilità e tenacia. Se mai la dovessi fare, la farei con la stessa solennità con cui faccio il mio lavoro.

La sua carriera era segnata: nonno e papà avvocati penalisti, i suoi fratelli seguono quella strada, lei pure e si laurea con 110 e lode in Giurisprudenza.
Ma già avevo in mente un altro percorso per eludere il piano lavorativo e non finire nello studio di famiglia. Feci l’Erasmus a Leon, in Spagna, approfondendo il diritto comunitario, poi mi laureai specializzandomi in diritto internazionale. Tra i miei obiettivi c’era quello di trasferirmi a Bruxelles. Giochi del destino: il 23 luglio sarò lì a recitare Dante, all’Istituto italiano di cultura.

Abbiamo perso un bravo avvocato o un ottimo cantante? Perché le sue esibizioni all’Anema e Core di Capri sono quasi leggendarie.
(ride) Un buon avvocato, perché avrei avuto come obiettivo primo la certezza della pena, che poi è l’unico modo per arginare il malaffare e l’andamento illegale e furbesco di una certa parte della società italiana. Ma in famiglia la tradizione è saldamente nelle mani dei miei fratelli, che sono degli ottimi legali. Quanto al canto, resta una passione non avendo mai studiato musica: la mia regola di vita – che ho cercato di instillare nei miei figli – è che ogni sogno dev’essere accompagnato dallo studio.

Lei quando l’ha compreso?
All’Accademia dei Filodrammatici di Milano, dove scoprii la passione per la recitazione. Lì ho studiato tanto e ho capito che il talento e la passione, senza l’impegno, sono come un pacchetto regalo senza il regalo dentro.

Conta solo talento o anche la fortuna?
La fortuna senza talento è inutile. Il talento senza applicazione e costanza non serve a niente. Nel mio caso, studio e curiosità sono le due armi che mi permettono di non assecondare la mia natura pigra e indolente.

È più determinato o ambizioso?
Uno dei miei primi maestri mi disse: “Ricordati che l’attore è un operatore culturale”. Il senso di responsabilità, l’idea di dover fare tutto ciò che faccio nel migliore dei modi possibili sono una spinta più forte dell’ambizione. Altrimenti avrei fatto altre scelte e avrei detto meno no.

C’è un no di cui si pente?
Ero in tournée con lo spettacolo Vincent Van Gogh. L’odore assordante del bianco e per diverse di circostanze rifiutai un provino con Paolo Sorrentino per la serie The Young Pope. Magari non mi avrebbe preso, ma anche solo due pose con un regista così importante sarebbero state un’occasione che mi sarei voluto giocare.

C’è un provino non passato che le ha lasciato l’amaro in bocca?
Tanti. Di recente quello per un ruolo nella serie ispirata Il talento di Mister Riplay, che girano anche a Cinecittà. Non mi hanno preso, hanno scelto un altro attore. Ma non la considero una sconfitta, perché ogni attore è abituato a stare sulla linea del pericolo.

Se a un attore si domanda “quando ha capito di avercela fatta”, la risposta è sempre “un attore non è mai arrivato”. Lei però quando ha capito che la strada imboccata era quella giusta?
Quando sono sceso dal palco del Teatro Greco di Taormina, dopo lo spettacolo su Cristoforo Colombo, che interpretavo, dirigevo e che avevo prodotto investendo tutti i miei soldi. Era un progetto complicato, con sessanta comparse e una scena importante, tutti mi dicevano che ero un pazzo a voler inseguire quel sogno. Invece fu un successo e capii che da quel momento non sarei mai più tornato indietro.

Nel suo curriculum c’è anche Elisa di Rivombrosa, in cui interpretava il conte Ristori, che a distanza di vent’anni è ancora un cult.
Viaggio molto per lavoro ed è sorprendente quanti trentenni di oggi mi fermino dopo avermi riconosciuto, per dirmi: “Avevo dieci anni, ti guadano con mia nonna”. È divertente.

Che effetto le fa la popolarità?
Essere fermati ogni venti metri non è piacevole se sei arrabbiato o hai i tuoi pensieri per la testa. Oggi sono più morbido rispetto a un tempo ma la mania dei selfie non la capisco: la foto spesso non ha un valore per chi la chiede ma diventa un trofeo da mostrare agli altri. Preferisco fermarmi a chiacchierare che a trovare l’angolatura o la luce giusta per uno scatto.

È più allergico al gossip o ai social?
Il gossip lo trovo una cosa da menti piccole: per me farsi i cazzi degli altri è uno sport incomprensibile. “Fa parte del tuo mestiere, fattene una ragione”, mi dicono gli amici. Io non l’ho mai considerato un metro di misura della mia carriera ma penso sia uno spreco di energie per chi ti fotografa – che sta ore appostato a cercare il nulla – e per chi si inventa cose.

Tocca scomodare Wilde: “I fatti miei mi annoiano sempre a morte, preferisco quelli degli altri”.
Non mi considero una vittima, perché so bene che i problemi veri sono altri. Ma ci sono state volte in cui mi hanno fatto sentire inadeguato: mi sono sentito umiliato nel dovermi giustificare con le persone a me care per notizie false o anche solo per un bacio dato in pubblico che magari qualcuno giudicava troppo o troppo poco appassionato.

C’è stata una volta in cui si è arrabbiato?
Mi sono incazzato davvero solo quando sono uscite delle foto con i miei figli. L’ho trovato irrispettoso.

Tornando al suo lavoro, ci sono altre serie con Mediaset?
Per ora no. Ho dei contatti con la Rai per dei nuovi progetti. Mi piacerebbe concentrami sui film, non per andare in controtendenza ma perché, ripeto, non mi piacciono le serie troppo lunghe.

Nel 2020 lei ha girato Le legge del terremoto, un documentario in cui racconta anche il suo essere un “superstite” terremoto d’Irpinia. C’ha preso gusto dietro la telecamera?
Sì, parecchio, tanto che ora con Cattleya sto lavorando al mio primo film da regista. La considero una delle sfide più importanti della mia carriera ma anche uno scatto necessario. Mi piacerebbe indagare alla mia maniera su uno dei grandi temi di oggi, il rapporto padre figlio, uscendo però da un racconto stereotipato o piccolo borghese.

Lo considera il suo grande sogno professionale?
Anche. Sono stato molto fortunato, ho realizzato tanti sogni e non è una frase fatta. Il mio sogno è continuare ad avere sogni, coltivarne sempre di nuovi e poi realizzarli. Non per ambizione ma per sete di creatività e voglia di guardare le cose sempre da un’altra prospettiva.

Foto – Ufficio stampa Mediaset

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