Cinema

Giochi di potere, intrighi e competizioni da leggenda: Cannes Confidential racconta il lato oscuro di un vero e proprio impero

Basta l’indice del libro di Xavier Monnier per fornire la sensazione di stare per leggere un thriller politico, ai limiti della spy story, più che un saggio d’indagine: parole come Graal, padrino, nevrosi collettiva, demoni appartengono agli immaginari letterari e cinematografici fra i più attraenti di sempre

di Anna Maria Pasetti

S’intitola Cannes Confidential (Éditions Robert Laffont) e potrebbe diventare il “libro caso” dell’imminente Festival. Perché finalmente dice quel che nessuno può, vuole o osa dire. Il motivo? Semplicissimo. “Se provi a indagare nel dietro le quinte del più blasonato festival cinematografico mondiale stai certo che non sarai più invitato!”. Spiega il suo autore, il giornalista d’inchiesta Xavier Monnier, che – ça va sans dire – se ne starà ben lontano dalla Croisette dal 6 al 17 luglio, ovvero durante le giornate della 74ma edizione della kermesse. Uscito in Francia l’11 giugno e inviato agli organizzatori “da cui ancora non ci sono state reazioni, ma le attendo agli inizi di luglio…” Il volume ha lo scopo di far emergere il vero funzionamento della manifestazione, investigarla dal di dentro come non è mai stato fatto, forse per le ragioni di cui sopra.

E allora largo ai giochi di potere, agli intrighi finanziari, alle leggendarie competizioni, sia interne (presidenti vs direttori e via discorrendo da decenni..) sia esterne, cioè con altri festival, uno su tutti la nostra Mostra veneziana. E basta l’indice del libro di Monnier e fornire la sensazione di stare per leggere un thriller politico, ai limiti della spy story, più che un saggio d’indagine: parole come Graal, padrino, nevrosi collettiva, demoni appartengono agli immaginari letterari e cinematografici fra i più attraenti di sempre.

Come era prevedibile, il lato nascosto del Festival diretto da Thierry Frémaux è l’aspetto più vero e indubbiamente intrigante di una delle massime istituzioni culturali di Francia. Se non fa purtroppo più notizia che “l’aspetto cinematografico sta diventando sempre meno rilevante a favore del business”, ciò che suscita indubbio interesse sono le raffinate strategie messe in campo da sponsor, partner, banche d’investimento che si duellano come su una scacchiera russa.

Secondo quanto descritto nel testo di Monnier Il Festival di Cannes è un centro di potere con le caratteristiche un impero, eccole in sintesi. Ha una rete di interessi in ogni ambito della politica, società e cultura francesi, ha dei nemici ma è pronto a blandirli e inglobarli facendoli propri vassalli, continua ad espandere il suo giro d’affari tra pubblico e privato (il budget è di circa 20 milioni di euro ma ce ne sono ben 33 nello “stock market” dell’istituzione) a cui si aggiunge la recente creazione di un’associazione “Gli amici del Festival di Cannes” composta da ricchissimi benefattori. Infine ha un imperatore, il delegato generale dal 2007 Thierry Frémaux, classe 1960, che ha gradualmente concentrato tutto il potere su di sé (“anche se lo nega”) dopo l’uscita di scena del vero “Richelieu o Mazarin” di Cannes, ovvero l’ex presidente Gilles Jacob.

“Thierry è lionese, ha un approccio molto diverso rispetto al parigino Jacob – sottolinea Monnier -, mostra una buona indole, un carattere aperto e popolare, ma è anche sanguigno. Può arrivare ad azzuffarsi con chiunque, da giornalisti, produttori fino ai registi che lui stesso ha invitato al festival”. Circondato da uno staff fedelissimo e prono, Frémaux è oggi considerato il vero Padrino del cinema internazionale, direttore dei due eventi che lui considera “il più grande film festival d’autore e il principale film festival d’archivio”, cioè quello dell’Institute Lumière di Lione che guida da sempre. “Tutto questo consegna a Thierry Frémaux un enorme potere sul presente e futuro del cinema, sulla carriera di produttori, registi e distributori. Quasi nessuno è nella posizione di rifiutargli qualcosa”.

E con questo “quasi” si allude naturalmente a Netflix, con cui si consuma da un biennio la nota guerra “all’ultimo film”: per chi non lo sapesse, i film Netflix non sono ammessi al concorso di Cannes almeno finché il colosso americano dello streaming non accetterà di preventivarne la distribuzione nelle sale francesi. E si tratta di un conflitto di fatto non voluto da Frémaux bensì dall’associazione dei cinema transalpini, la potentissima Fédération Nationale des Cinémas Français (FNCF), l’unica realtà che ha saputo “legare le mani del Padrino” al punto da fargli rischiare il posto nel 2017 all’indomani delle concessioni Netflix su Cannes, da allora mai più ripetute. Tutto questo, si sa, ha contribuito a veicolare Hollywood sulla “più indulgente” Mostra veneziana di Alberto Barbera. Ma Cannes non si arrende, non è nel suo Dna. “Cambierà tutto affinché nulla cambi” cita Monnier con giusta ironia la famosa frase del Gattopardo. “Seguirà i trend del momento, integrerà più donne per non opporsi al #metoo, si adatterà camaleonticamente a tutto, forse persino a Netflix con strategie che organizzerà all’occorrenza”. In altre parole, “Cannes si proteggerà dal mondo tentando – come sempre – di conquistarlo, inglobandolo nel suo impero”.

Foto: Prisca Munkeni Monnier

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