Zhang Wenhong è un epidemiologo, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’ospedale Huashan di Shanghai e membro del Partito comunista. Nell’ultimo anno e mezzo è diventato popolare in Cina – ha 3,5 milioni di follower sul suo account Weibo – grazie a un parlare schietto. Mutuato dal linguaggio dei laobaixing, la gente comune, a cui si pregia di appartenere dato che si è definito – secondo quanto riporta il South China Morning Post – “un campagnolo”. Per promuovere il distanziamento sociale, ha detto: “A casa ti annoi a morte, quindi anche il virus si annoierà a morte” e “stai lontano dal fuoco, dai ladri e dai tuoi colleghi”. Tuttavia si è opposto ai lockdown eccessivi, coniando la formula “speriamo di prendere i topi senza rompere la porcellana e che la prevenzione non abbia un grande impatto sulla vita sociale”, per poi confessare che nel tempo libero si rilassa “guardando serie TV senza cervello”. Insomma, una pop-star di Partito che quando parla, molto probabilmente veicola concetti molto vicini al vero.

In un recente forum organizzato dalla rivista Caixin, Zhang ha detto: “Quello che stiamo cercando di fare non è sradicare la malattia, ma eliminarne la prevalenza”. Il concetto di prevalenza è la fotografia dell’epidemia in un dato momento, mentre l’incidenza è il trend espresso dai nuovi casi. Insomma, “eliminare la prevalenza” significa abbassare fino a un livello controllabile sia i casi di Covid effettivi, sia il numero di persone potenzialmente esposte al virus anche se non ce l’hanno. Far diventare il Covid “come un’influenza”, ha specificato Zhang Wenhong. All’atto pratico, le conclusioni che si possono trarre dalle affermazioni di Zhang appaiono scontate e sono in linea con quando i cinesi stanno facendo da mesi: contenimento e vaccinazione, vaccinazione e contenimento.

Alternanza aperture-lockdown – Da settimane, le autorità sanitarie del paese dichiarano che è necessario vaccinare quanto prima almeno l’80 per cento dei cinesi per raggiungere l’immunità di gregge – cioè, un miliardo e cento milioni – ma intanto, entro la fine di giugno, bisogna averne vaccinati almeno 560 milioni, cioè il 40 per cento. Per ridurre i “potenzialmente esposti” resta intanto in auge l’arte del contenimento, cioè la mobilitazione del personale sanitario e dei quadri di Partito per alternare in tempo reale aperture e lockdown a seconda del manifestarsi di nuovi focolai. È probabile che l’apri-chiudi diventi una “nuova normalità”, locuzione ormai in voga da anni nella Cina di Xi Jinping.

Che l’arte del contenimento sia una disciplina in continua evoluzione (come il virus), lo rivela il più recente focolaio cinese, quello del Guangdong. La Commissione Nazionale per la Salute ha annunciato che è stato finalmente messo sotto controllo, con nessun caso trasmesso localmente (gli ultimi risalgono al 21 giugno). La presenza della variante Delta nel focolaio della provincia più ricca e produttiva aveva preoccupato gli esperti, che tutt’ora la ritengono più difficile da contenere. Sul giornale di Shanghai, Pengpai Xinwen (The Paper), il guru dell’epidemiologia cinese, Zhong Nanshan, ha spiegato che senza misure di contenimento, a Guangzhou (il capoluogo) avrebbero potuto esserci 7,3 milioni di infezioni. “Invece – ha detto – ci sono stati solo 153 casi”.

Zhong ha raccontato che le autorità locali hanno sconfitto l’epidemia rivedendo la definizione di “contatti stretti”: prima, si mettevano sotto osservazione stretta familiari, colleghi e chiunque si fosse avvicinato a meno di un metro da un individuo infetto nei due giorni precedenti al manifestarsi dei sintomi. Con la variante Delta, la finestra è stata ampliata a quattro giorni. Sembra semplice, ma è la mobilitazione necessaria a mettere in pratica queste misure – che si accompagna al tracciamento elettronico – a non esserlo.

Le vaccinazioni – La stessa mobilitazione di quadri e personale medico spiega il fatto che la Cina ha raggiunto a oggi un miliardo e cento milioni di dosi somministrate. Attenzione, “dosi somministrate”, non immunizzazioni. È comunque un numero incredibile, basti dire che si viaggia ormai al ritmo di 20 milioni al giorno e che oltre un terzo delle vaccinazioni mondiali è stato fatto in Cina. Non solo, grazie alle economie di scala, la Cina potrebbe produrre 3 miliardi di vaccini nel 2021 e 5 miliardi nel 2022, vaccini che non solo vengono utilizzati all’interno del Paese, ma anche esportati.

Ma al di là dell’enfasi quantitativa restano molti dubbi. Innanzitutto, sei dei sette vaccini autorizzati in Cina richiedono più di una dose, uno addirittura tre invece che due, quindi quanti cinesi sono effettivamente immunizzati? Secondo elemento: qual è l’efficacia dei vaccini cinesi? Finora, solo due hanno ottenuto l’approvazione internazionale, mentre nessun vaccino straniero è al momento somministrato sul suolo cinese, anche se in dirittura d’arrivo ci sarebbero le pratiche per Pfizer-BioNtech.

Proprio in considerazione di queste incertezze e nel nome del melius est abundare quam deficere, il 21 giugno Shao Yiming, un epidemiologo del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie che fa parte del team di risposta al Covid-19 allestito dal governo, ha detto che per raggiungere l’immunità di gregge, la Cina dovrebbe somministrare in tutto 2,2 miliardi di dosi. Ne mancano quindi circa la metà, 1,1 miliardo. Calcolando il ritmo attuale delle vaccinazioni, significherebbe 55 giorni esatti, che a spanne possiamo estendere a 70-80 considerando le difficoltà logistiche di vaccinare la gente fuori dalle grandi città e di convincere quelli che finora non hanno voluto vaccinarsi. Sono sempre meno, a dire il vero, e non mancano gli incentivi. Se ha fatto il giro del mondo la notizia che negli Usa si promuove la vaccinazione regalando birra, marijuana e premi della lotteria, in alcuni hutong (vicoli) pechinesi si danno uova. Civiltà a confronto.

Il futuro? Lontano dal pre-Covid – Diciamo quindi che in due mesi e mezzo-tre, da oggi, la Cina potrebbe raggiungere la tanto agognata immunità di gregge: tra metà settembre e inizio ottobre. Si tornerà alla normalità pre-Covid? No, si resterà sempre in allerta dal punto di vista del contenimento, per abbassare sempre più la prevalenza – gli infetti e i potenzialmente esposti – di cui parla Zhang Wenhong. Ora chi entra in Cina deve farsi dalle tre settimane al mese di quarantena complessivi, il che ovviamente limita i contatti tra il paese e il mondo esterno. Pechino negli ultimi anni si è fatta vanto di essere la capofila della globalizzazione, specialmente dopo i dietrofront di Trump su questo piano, e ora la Cina non ha nessunissima intenzione di rimanere tagliata fuori dalla supply-chain globale, specialmente in epoca di “guerra ibrida” con gli Usa. Ma, per il momento, la sicurezza sanitaria viene prima di tutto.

Circola voce che un primo assaggio di normalità, dettata da ragioni politiche e d’immagine, ci sarà a febbraio 2022, con le Olimpiadi invernali di Pechino. L’evento potrebbe ripristinare una certa normalità nei voli internazionali. Sempre – si intende – che “quelli là fuori”, cioè i non cinesi, facciano bene il compitino. Come la Cina guidata dal Partito comunista, che sta per festeggiare i suoi primi cent’anni.

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