Ci sono anche Antonio Bernardo e Antonio Pio Tufo tra i sei indagati per stalking ai danni di Marco Ferrazzano, 27enne disabile di Foggia che si è tolto la vita lanciandosi contro un treno alla periferia del capoluogo dauno lo scorso gennaio. Nomi già noti alla cronaca locale e non solo: i due infatti sono accusati di aver fatto parte del gruppo d’azione che ha messo a segno a settembre 2020 la rapina in una tabaccheria di Foggia durante la quale è stato ucciso il titolare Francesco Paolo Traiano. Gli atti della nuova accusa sono stati notificati a entrambi nel carcere di Foggia dove si trovano dal 25 febbraio.
L’indagine condotta dalla Squadra Mobile di Foggia agli ordini del vice questore Mario Grassia, ha infatti permesso di ricostruire una serie di vessazioni, umiliazioni e atti di bullismo e cyberbullismo che Bernardo e Tufo avrebbero commesso, insieme ad altri indagati, ai danni di Ferrazzano e di un altro disabile foggiano. L’inchiesta, coordinata dai pubblici ministeri Marco Gambardella e Alessio Marangella, ha preso il via il 21 gennaio, giorno in cui il 29enne dopo aver subito il furto del cellulare ha provato a dire basta ai soprusi: si è recato negli uffici della Questura e ha raccontato ai poliziotti l’inganno di un giovane che con la scusa di fare una telefonata ha chiesto in prestito il suo cellulare e poi, approfittando delle sue condizioni, si è dileguato. Quel furto, però, ha fatto crollare troppe cose nella vita del 29enne al punto da convincerlo che la morte era l’unica soluzione. E infatti dopo aver presentato la sua denuncia e aver informato i parenti di quello che era accaduto, si è allontanato da casa e ha raggiunto la periferia di Foggia per togliersi la vita.
Per i parenti, Marco era terrorizzato che qualcosa contenuto nel suo cellulare potesse finire sui social e umiliarlo più di quanto non succedesse. Perché in realtà sui social, di video contenenti le umiliazioni inflitte al giovane disabile, ne erano già stati pubblicati diversi. A scoprirlo è stato l’avvocato Pio Giorgio di Leo che assiste i familiari del ragazzo. Il legale ha scoperto l’esistenza di una pagina Instagram chiamata “le comiche foggiane” seguita da oltre 4mila utenti su cui erano state pubblicate immegini delle violenze che Marco era stato costretto a subire. Ma Marco non era l’unica vittima. Agli atti dell’inchiesta, infatti, è finita anche la denuncia di un altro giovane disabile costretto a umiliarsi. Dal racconto che il giovane ha rilasciato ai poliziotti è emerso che gli indagati li avrebbero insultati, minacciati e aggrediti al punto da generare vero e proprio terrore e, nel caso di Marco, quelle violenze avrebbero contribuito ad aggravare il suo fragile equilibrio tanto da fargli desiderare la morte. Marco lo aveva raccontato in diverse occasioni al suo amico e compagno di sventure. La seconda vittima ha spiegato dettagliatamente il calvario a cui erano stati sottoposti. Erano costretti a fare capriole con l’unico scopo di essere ridicolizzati mentre qualcuno li riprendeva, a volte anche con il loro stesso cellulare. Negli atti dell’inchiesta emerge come alcuni degli indagati in una occasione hanno bloccato il malcapitato per capovolgerlo a testa in giù. Per offendere Marco lo chiamavano “pingone” termine dialettale con cui a Foggia si tende a indicare qualcuno molto stupido o il sesso maschile. E mentre tutti intorno ridevano Marco veniva preso a schiaffi, spinto e addirittura investito con un ciclomotore.
Gli indagati, tutti giovanissimi, sembravano compiaciuti delle loro gesta. In alcuni casi, come per Tufo e Bernardo, la loro personalità era emersa dalle intercettazioni raccolte dai poliziotti nell’indagine per l’omicidio Traiano. Ignaro di essere ascoltato dai poliziotti mentre si trova nella sala d’attesa della Questura foggiana, Tufo chiacchiera con Bernardo: entrambi sono pienamente consapevoli di essere lì perché coinvolti nell’inchiesta per la morte del tabaccaio, ma non appaiono pentiti e neppure preoccupati: “”Compare – dice Tufo a Bernardo – che ce ne frega a noi ‘stagnr‘! (soprannome di Bernardo Antonio, ndr) Che ti devo dire? Io non ci voglio pensare al futuro, non ci penso più, non me ne frega niente. L’ho detto già l’altro giorno, me ne frego proprio grandemente! Nella vita si rischia e si gode”. L’ipotesi di una lunga carcerazione, infine, appare come un dettaglio trascurabile: “Devo tare chiuso 20 anni? Ce devo fare mo’ che esco il pingone? Senza un euro … la ribello Foggia quando esco”. I ragazzi cattivi di Foggia di fare il “pingone”, non vogliono saperne. Non vogliono apparire come Marco Ferrazzano, il 29enne sopraffatto dalla paura al punto da rinunciare alla vita. Nella mente dei giovanissimi, evidentemente, il carcere è solo una parentesi, prima della nuova rivolta in città.