Osservata speciale di banche centrali e governi l’inflazione allunga un’altra zampata in maggio. Nell’insieme dei paesi Ocse l’indice dei prezzi al consumo è salita al 3,8% dal 3,3% di aprile. Un incremento non da poco ma che è, in larga misura, riconducibile alla fiammata dei prezzi dell’energia, cresciuti di ben il 18,6% rispetto all’anno prima. Escludendo energia e alimentari, la componente più variabile dell’indice, l’inflazione risulta comunque in crescita al 2,9% dal 2,4% di aprile. Indicativamente le banche centrali fissano intorno al 2% il valore dell’inflazione considerato ottimale per il buon funzionamento dell’economia. Non che non manchino economisti, anche illustri come il premio Nobel Paul Krugman, che alzano però l’asticella fino al 5%.

Sinora Federal Reserve e Banca centrale europea hanno affermato che la ripresa dell’inflazione è transitoria, legata per lo più alle tensioni legate alla ripresa di attività produttive e consumi legati all’alleggerimento dell’emergenza sanitaria. Se così fosse non vi sarebbero ragioni particolari per stringere le politiche monetarie ultra espansive portate avanti sinora per sostenere l’economia. Tenendo i tassi bassissimi e comprando titoli di Stato e obbligazioni, le banche centrale aumentano infatti la quantità di moneta in circolazione, uno dei fattori che può contribuire ad accrescere il tasso di inflazione.

Al momento il problema riguarda più gli Stati Uniti che l’Europa. Oltre oceano i prezzi al consumo crescono del 5% l’anno, nell’area euro non vanno oltre il 2% (Italia 1,3%). Il Giappone addirittura continua a fronteggiare uno scenario blandamente deflattivo con prezzi in discesa dello 0,1%. Cerro è che, pur su valori differenti, l’inflazione appare ovunque in crescita. Negli Usa, solo a inizio 2021, era all’1,4%. In Germania è passata dall’1% al 2,5%, in Francia dallo 0,6% all’1,4%, in Italia da 0,4 a 1,3%, in Giappone da – 0,6% a – 0,1%.

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