La ong Soleterre, che opera nel Paese dal 2011, racconta di una situazione pandemica che si è particolarmente aggravata il mese scorso. "Il personale sanitario e gli psicologi che stanno lavorando senza sosta sono insufficienti e rischiano il burn-out. Già molti colleghi sono deceduti a causa di complicazioni legate al Covid-19"
È uno dei Paesi dell’Africa dove il coronavirus sta avanzando più rapidamente e dove la variante Delta, altamente contagiosa, a oggi rappresenta il 97% dei casi. In Uganda, nell’ultimo mese, il Covid-19 ha provocato più vittime rispetto all’intero anno precedente: dei 954 morti dall’inizio della pandemia, 594 sono stati registrati solo nel mese di giugno. La situazione contagi è allarmante: i 33.158 nuovi casi registrati a giugno corrispondono al 42% di tutti i casi registrati dall’inizio della pandemia (che ammontano a 79.089). Ad oggi sono state somministrate circa 1 milione di dosi di vaccino, ma soltanto 4.129 persone (lo 0,01% della popolazione) hanno ricevuto le due somministrazioni previste (Fonte Johns Hopkins, 2021). Se l’Oms lancia l’allarme di una terza ondata “senza precedenti” in tutta l’Africa, chi fa il punto sulla situazione in Uganda dati alla mano è la ong Soleterre, che opera nel Paese dal 2011 con progetti di prevenzione, assistenza sanitaria, accoglienza di bambini oncologici, malnutriti o con altre patologie proprio nel Nord del Paese. E sottolinea come il proprio staff locale e i partner con cui collabora siano in grave difficoltà.
Nel Nord Uganda la situazione è simile a quella del resto del Paese: nell’ultimo mese sono stati confermati 266 casi, ma il loro numero è in crescita e sta mettendo in serio affanno le strutture sanitarie. Sono due, nella sub-regione di Acholi, gli ospedali attrezzati per accogliere i casi più gravi che necessitano di cure intensive: il Gulu Regional Referral Hospital (Grrh) e il Lacor Hospital. Ma i pochi posti di terapia intensiva presenti (12 al Grrh e 4 al Lacor Hospital a cui se necessario se ne possono aggiungere altri 8) sono pieni e l’ossigeno scarseggia.
“Il personale sanitario e gli psicologi che stanno lavorando senza sosta sono insufficienti e rischiano il burn-out. Già molti colleghi – proprio in queste ore una pediatra del Grrh e una psicologa sul campo – sono deceduti a causa di complicazioni legate al Covid-19. Nelle ultime settimane circa 20 tra medici e infermieri dell’ospedale hanno contratto il virus durante il turno di lavoro. Siamo molto preoccupati perché il virus sembra colpire maggiormente la fascia d’età 20-39 anni e abbiamo bisogno di più risorse per proteggere il personale impegnato nella prima linea. Servono al più presto Dispositivi di Protezione Individuale (Dpi), ossigeno, personale infermieristico e psicologi per poter operare in maniera adeguata, fermare i contagi ed essere di sostegno emotivo a chi è terrorizzato dalla situazione”, avverte Adrian Ssali, rappresentante nel Paese di Fondazione Soleterre. La ong, a seguito di questa nuova impennata di casi, si è attivata per rafforzare le risorse già dispiegate l’anno scorso per fronteggiare l’emergenza nelle strutture ospedaliere in cui lavora, ma ancora molto c’è da fare: ad oggi ha assistito oltre 200 pazienti e 80 operatori sanitari attraverso la mobilitazione di 4 psicologi che alternano il loro lavoro nella prima linea dell’emergenza al Grrh e al Lacor Hospital.
“Si vive un clima di paura diffusa e protratta nel tempo”, ha riferito un operatore sanitario locale. “Noi psicologi cerchiamo di aiutare pazienti, loro familiari e personale sanitario a trovare le risorse mentali per far fronte al trauma della malattia, che sempre più spesso si rivela fatale. Purtroppo le misure di autoisolamento a cui sono costrette le persone positive stanno avendo conseguenze negative sulla salute mentale della popolazione“. Il tema del supporto psicologico è particolarmente sentito dalla ong, che in Italia è stata tra le prime realtà a garantire assistenza psicologica nella prima linea dei reparti Covid-19 a pazienti e personale sanitario, con un progetto avviato in piena emergenza presso il Policlinico San Matteo di Pavia e poi esteso in 14 regioni italiane grazie alla mobilitazione di una rete nazionale di psicologi.
(nella foto: persone in attesa di essere vaccinate presso l’aeroporto di Kampala)