Politica

Vitalizi, il Senato decide sul taglio mentre gioca la Nazionale. Il precedente del decreto Salvaladri approvato durante Italia-Bulgaria

Il consiglio di Garanzia di Palazzo Madama dovrà decidere in serata se confermare o cancellare il taglio dei vitalizi di circa 700 senatori che hanno fatto ricorso. La sentenza, dunque, arriverà mentre gli azzurri di Mancini affronteranno la Spagna. Una vicenda che ricorda quella del 1994, quando il governo Berlusconi, eletto da pochi mesi, approfittò della generale distrazione del Paese, concentrato sui mondiali americani, per varare il decreto Biondi: fece uscire di galera i detenuti finiti dentro per Tangentopoli

Il primo gol fu un destro a giro: rientrava da sinistra, la piazzò sul secondo palo. Il secondo, invece, nacque da un assist col goniometro di Demetrio Albertini: pallonetto filtrante in aria, due a zero, prima dell’unica rete bulgara. Era il 13 luglio del 1994 e al Giants Stadium di New York, Roberto Baggio buttava fuori dai mondiali la Bulgaria di Hristo Stoičkov, regalando ad Arrigo Sacchi e altri 60 milioni di italiani la finale contro il Brasile. È quel giorno che il governo di Silvio Berlusconi, eletto da pochi mesi, decise di convocare un consiglio dei ministri. Approfittando della generale distrazione del Paese, concentrato sui mondiali americani, l’esecutivo varò il cosiddetto decreto Biondi, passato alla storia come Salvaladri: fece uscire di galera i detenuti finiti dentro per Tangentopoli.

Ventisette anni dopo la Nazionale è di nuovo impegnata in una semifinale, questa volta contro la Spagna all’Europeo, e la politica ha di nuovo in calendario un nuovo importante appuntamento. Niente a che vedere col Salvaladri, per carità, ma più modestamente una decisione sul taglio dei vitalizi. Sono più di 700 gli ex senatori che sperano di vedersi restituire gli assegni tagliati appena due anni fa e oggetto di una serie di ricorsi, già accolti in primo grado dalla commissione Contenziosa, il tribunalino interno di Palazzo Madama, presieduta dal berlusconiano Giacomo Caliendo. Oggi, invece, su quella decisione dovrà esprimersi il comitato di garanzia, l’organo di appello del Senato, presieduto da un altro forzista come Luigi Vitali. La riunione è fissata per le ore 19 e salvo rinvii vuol dire che la decisione arriverà proprio mentre Roberto Mancini e gli azzurri sfideranno la Spagna. Una curiosa coincidenza, denunciata dal Fatto Quotidiano, che provoca l’attacco del M5s: con un post su facebook i 5 stelle parlano esplicitamente di un “blitz della casta” al Senato. Vitali, però, nega tutto e replica: “Noi oggi non ci riuniremo solo per i vitalizi, dobbiamo decidere anche sul ricorso presentato dagli ex 5 Stelle, i quali hanno impugnato la sentenza di primo grado che ha confermato la loro espulsione dal gruppo parlamentare. La Commissione contenziosa ha rigettato il reclamo e loro hanno fatto appello”. Sul fatto che a decidere sul taglio dei vitalizi saranno invece anche alcuni senatori che incasseranno l’assegno a fine legislatura, Vitali nicchia: “Non posso parlare, sono il giudice di secondo grado. Parlerò dopo la sentenza, qualunque essa sia”.

Il 13 luglio del 1994, invece, non c’era nessuna sentenza da emettere. Mentre il Paese era paralizzato dall’attesa per Italia-Bulgaria, l’allora guardasigilli, il berlusconiano Alfredo Biondi, entrava in consiglio dei ministri per distribuire ai colleghi una cartellina con il testo del decreto sulla custodia cautelare, una relazione tecnica e un appunto riassuntivo per i non tecnici. La maggior parte dei ministri, pensando alla partita, sperava che Biondi non fosse troppo loquace. Il guardasigilli, invece, parlò per un’ora. A chi chiedeva un disegno di legge invece di un decreto, intimava: “O il decreto passa all’unanimità, o lo ritiro”. Roberto Maroni, all’epoca ministro dell’Interno, sostiene di aver chiesto: “Ma usciranno di galera De Lorenzo e soci, oppure no?”. Biondi, è la versione del leghista, rispose: “No, fidati di me”. A quel punto intervenne direttamente Berlusconi: “Se qualcuno è contrario al decreto, lo dica subito chiaramente”. A quel punto il decreto passò all’unanimità: tutti i ministri poterono andare a guardare la partita.

Il giorno dopo quel decreto arriverà a Oscar Luigi Scalfaro per la firma. I giornali, distratti dalle prodezze di Baggio e dalle nuove nomine della Rai, non si accorsero di nulla. Saltarono sulla sedia, invece, i magistrati che avevano ricevuto il decreto, immediatamente esecutivo. Non solo quelli che indagavano su Tangentopoli. Il Salvaladri, infatti, aveva quattro effetti: modificava e rendeva segreto l’avviso di garanzia, rendeva accessibile il registro degli indagati agli interessati che ne facessero richiesta, allargava le possibilità di ottenere il rito abbreviato e rivoluzionava la custodia cautelare. I reati erano stati suddivisi in tre fasce: quelli per cui la carcerazione preventiva era obbligatoria (fra cui omicidio, sequestro di persona a scopo di estorsione, associazione mafiosa), quelli per cui era consentita a discrezione del giudice (estorsione aggravata, rapina, scippo, calunnia, violenza carnale, usura, riciclaggio e pochi altri), quelli per cui era sempre vietata (tutti gli altri). Nella terza fascia rientravano i reati di Tangentopoli: concussione, corruzione, peculato, abuso d’ufficio, finanziamento illecito, bancarotta fraudolenta, falso in bilancio, frode fiscale, associazione per delinquere, false fatture, ricettazione, truffa ai danni dello Stato e di enti pubblici, ma anche spaccio non ingente di droga. Per questa terza fascia, niente più manette: al massimo, arresti domiciliari.

Subito tutti i legali degli indagati detenuti per quel tipo di reati cominciarono a chiedere l’immediata scarcerazione dei loro assistiti. In tutta Italia cominciano ad aprirsi le porte del carcere per circa 500 ex detenuti al giorno. Come ricordano Gianni Barbacetto, Marco Travaglio e Peter Gomez nel libro Mani pulite (Chiarelettere) a Napoli uscirono l’ex sindaco socialista Nello Polese e l’ex ministro Francesco De Lorenzo, accolti da una piccola folla inferocita che gridava “ladri” e “mariuoli”. A Palermo uscì il medico personale di Totò Riina, Antonino Cinà, detenuto all’Ucciardone per truffa, falso e corruzione (poi condannato in primo grado per la Trattativa Stato-mafia). A Trento tornava libero un condannato in primo grado a 6 anni per spaccio di due chili di cocaina. Sempre a Napoli, un imprenditore sospettato di essersi intascato 40 miliardi sottratti ad alcune società in fallimento venne scarcerato e mandato agli arresti domiciliari: pochi giorni dopo evade e scappa in Venezuela. I magistrati di Mani pulite protestarono, l’intero Paese si schierò contro il decreto. Alla fine gli stessi partiti che l’avevano votato attaccarono il governo. “Forse qualcuno teme che il carcere faccia parlare altra gente. Che qualcuno venga ‘ massaggiato’ dai magistrati“, disse Umberto Bossi, due giorni dopo l’approvazione. Maroni andò oltre: “Li ha mossi un principio di autodifesa perché i magistrati del pool avevano ripreso a muoversi. Si voleva forse evitare che i magistrati potessero arrivare al vero bersaglio grosso”. Bondi si difese: “Sono un galantuomo. Pensare che possa agire per fare un servizio a qualcun altro mi offende“. Il decreto, in ogni caso, verrà lasciato decadere il 21 luglio. Quattro giorni prima l’Italia aveva perso col Brasile ai calci di rigore dopo uno 0 a 0 nei tempi regolamentari. Tra gli errori decisivi dal dischetto, nel caldo torrido di Pasadena, anche quello di Baggio. Ma questa è un’altra storia.