Il processo Cusani e quello sulla strage di Viareggio. Il maxi-processo a Cosa nostra, quello sulla Trattativa Stato-mafia, quelli sulle violenze alla Diaz e a Bolzaneto nei giorni del G8 di Genova. Tutti questi procedimenti – e infiniti altri – si sarebbero conclusi con l’improcedibilità: processo chiuso, morto in via definitiva, se la riforma penale immaginata dalla ministra Marta Cartabia fosse stata già in vigore mentre si svolgevano. Un rischio che nel caso del processo sulla Trattativa è ancora incombente. Per superare la blocca-prescrizione dell’ex ministro Alfonso Bonafede – che sospende del tutto il meccanismo estintivo dopo la sentenza di primo grado – la Guardasigilli scelta da Draghi ha in mente una soluzione priva di sfumature: due anni al massimo per concludere il giudizio d’Appello, uno per quello di Cassazione, esclusi i reati puniti con l’ergastolo. Un giorno in più e si butta tutto al macero. In sostanza un’ecatombe generalizzata, anche perché secondo i dati del ministero relativi al 2019 un processo di Appello dura in media in Italia 759 giorni, 29 in più del limite dei due anni entro il quale Cartabia vorrebbe far morire i procedimenti.

Eppure, come ha ricordato anche l’Associazione nazionale magistrati, non tutti i processi sono uguali per importanza, numero di imputati, quantità di accuse e complessità del dibattimento. Per questo motivo alla riforma, dopo una complessa mediazione con il Movimento 5 Stelle, sono stati posti dei paletti: i due anni in Appello possono diventare tre (e l’anno in Cassazione salire a 18 mesi) a discrezione del giudice, per i più gravi reati contro la pubblica amministrazione (corruzione, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità) e per quelli di mafia e terrorismo, mentre questo meccanismo non si applica per reati puniti con l’ergastolo – e dunque imprescrittibili – come la strage e l’omicidio. Anche così, però, basta guardare gli ultimi decenni per capire che la tagliola allo studio del governo rischierebbe di fare vittime più che illustri. Anche perché la scarsità di personale (magistrati, ma anche cancellieri e ausiliari) unita all’enorme quantità di fascicoli e all’inadeguatezza delle strutture, è una malattia atavica del sistema giudiziario del nostro Paese, ricordata nelle ultime ore anche dal Commissario Ue alla giustizia Didier Reynders.

Trattativa Stato-mafia: Appello in 3 anni (e ancora in corso) – Il procedimento aperto dai pubblici ministeri di Palermo sulle interlocuzioni illecite tra vertici istituzionali e mafiosi nella stagione delle stragi, ad esempio, sarebbe già stato cestinato. Le motivazioni della sentenza di primo grado – che condannò a 28 anni di carcere il boss Leoluca Bagarella e a 12 l’ex senatore Marcello dell’Utri e i vertici del Ros Mori e Subranni per violenza e minaccia a un corpo politico dello Stato – arrivarono il 19 luglio del 2018, precisamente 3 anni fa. Il processo d’Appello è ancora in corso, con l’accusa che ha appena esplicitato le proprie richieste: per arrivare alla sentenza passeranno altre settimane. Nel momento in cui la riforma entrasse in vigore, per il principio dell’applicazione della legge più favorevole al reo, il processo sulla trattativa sarebbe quindi dichiarato immediatamente improcedibile.

Processo Cusani: Appello in 3 anni – Non si sarebbe salvato nemmeno il più mediatico dei processi della stagione di Mani Pulite, quello a Sergio Cusani. L’intermediario della maxi-tangente Enimont fu condannato in primo grado (per falso in bilancio, finanziamento illecito e appropriazione indebita) a 8 anni di carcere il 28 aprile 1994: le motivazioni furono depositate il 1° giugno. La sentenza d’appello, però, arrivò oltre tre anni dopo, il 7 giugno 1997. Ben troppo in là, per i limiti che Cartabia ha intenzione di introdurre.

Strage di Viareggio: Appello in 2 anni e 3 mesi – Tra il deposito delle motivazioni di primo grado e la pronuncia d’appello, nel processo per disastro ferroviario, incendio e omicidio colposo plurimo sulla strage alla stazione di Viareggio – 32 morti e 17 feriti – sono trascorsi 2 anni e 3 mesi. Il primo dispositivo (che condannava, tra gli altri, a 7 anni di carcere l’ex ad di Fs Mauro Moretti) venne letto in aula il 31 gennaio 2017, le motivazioni arrivarono poco più di un mese dopo, l’8 marzo. La conferma in secondo grado, invece, arrivò soltanto il 20 giugno del 2019.

Abusi a Bolzaneto: Cassazione in 3 anni e 3 mesi – La sentenza di secondo grado che – ribaltando il verdetto – condannò 44 tra agenti della Polizia penitenziaria, della Polizia di stato, dei Carabinieri e personale medico dell’amministrazione penitenziaria per gli abusi nella caserma di Bolzaneto, a Genova, nei giorni del G8 2001 fu emessa il 5 marzo 2010, le motivazioni arrivarono il 15 aprile successivo. Per rendere le condanne definitive in Cassazione (al netto delle numerosissime prescrizioni), però, ci vollero addirittura 3 anni e 3 mesi: la decisione della suprema Corte arrivò soltanto il 14 giugno 2013. Anche le 7 condanne confermate, quindi, con la riforma Cartabia sarebbero state cancellate.

Pestaggio alla Diaz: Cassazione in 1 anno e 11 mesi – Stesso discorso vale per il pestaggio della scuola Diaz, per cui il processo d’appello si concluse il 18 maggio 2010 (motivazioni depositate il 5 agosto) e la sentenza di Cassazione arrivò un anno e 11 mesi dopo il deposito, il 5 luglio del 2012. Se fosse stata in vigore la riforma proposta dal Governo, i dirigenti di polizia condannati (4 anni a Francesco Gratteri e Giovanni Luperi, 3 anni e 8 mesi a Gilberto Caldarozzi, 3 anni e 6 mesi a Vincenzo Canterini) avrebbero beneficiato dell’improcedibilità.

Crac Parmalat: Cassazione in 1 anno e 11 mesi – Il filone principale del processo per il più grande scandalo finanziario d’Europa si concluse in Appello il 23 aprile 2012, con il patron di Parmalat Calisto Tanzi condannato a 17 anni e 10 mesi di carcere per bancarotta fraudolenta. La sentenza che confermò – riducendola di pochi mesi – la condanna in Cassazione arrivò quasi due anni dopo, il 7 marzo 2014, ben oltre i 18 mesi che si vorrebbero stabilire come termine di durata massima del terzo grado di giudizio.

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