Tecnologia

Dart, la missione per la difesa planetaria è necessaria ma piena di condizionali

Mai Aida è stata così celeste. Non parliamo dell’opera di Giuseppe Verdi, ma della collaborazione internazionale Asteroid Impact and Deflection Assessment, ovvero “valutazione della deflessione di asteroidi per impatto” fra la statunitense Nasa e l’Esa, Agenzia spaziale europea. Obiettivo: la difesa planetaria, attività che comprende tutte le capacità necessarie per affrontare il rischio presentato dai Near-Earth Objects (NEO), asteroidi e comete con orbite che li portano a transitare entro 50 milioni di chilometri da quella terrestre. Quindi potenzialmente pericolosi. Potrebbero impattare la Terra, con effetti catastrofici.

Un asteroide è un piccolo corpo celeste, simile per composizione a un pianeta terrestre, generalmente privo di forma sferica, con diametro inferiore al chilometro. Asteroidi molto piccoli, della dimensione di un masso o anche meno, sono conosciuti come “meteoroidi”. Alcuni asteroidi hanno degli asteroidi satelliti. Questo è il caso di Didymos (significa gemello in greco) e del suo satellite Dimorphos (significa “avere due forme). Il primo ha un diametro di circa 780 metri; il secondo di 160 metri.

Torniamo ad Aida. Il contributo della Nasa alla collaborazione è la missione Dart, che sta per Double Asteroid Redirect Test: test di cambiamento di rotta di un doppio asteroide. Didymos e Dimorphos, per l’appunto.

Si prenda un vettore SpaceX Falcon 9; si metta su di esso un veicolo spaziale della forma e dimensione di un frigorifero (1,2×1,3×1,3 metri); si lanci il tutto (fra il 24 novembre 2021 e il 15 febbraio 2022) e lo si faccia viaggiare per circa 11 milioni di chilometri per mandarlo a sbattere alla velocità di 6,6 km/s (23.760 km/h) sulla superficie di Dimorphos per vedere l’effetto che fa. Lo si vedrà da vicino, perché Dart ha a bordo un sistema, il LICIACube (Light Italian CubeSat for Imaging of Asteroids), dell’Agenzia Spaziale Italiana, che verrà rilasciato cinque giorni prima dell’impatto, per riprendere l’incontro ravvicinato e l’impatto. Insomma per farsi un selfie.

Lo si vedrà da lontano: sono anni che con i telescopi terrestri si osserva la dinamica orbitale dei due gemelli di cui sopra. Poiché si valuta che a seguito dell’impatto la variazione della velocità orbitale di Dimorphos sia dell’ordine di 0,5 millimetri al secondo (1,8*10-3 km/h), confrontando i dati orbitali prima dell’impatto e dopo, si avrà l’evidenza sperimentale di quanto sia efficace, come strategia difensiva nei confronti degli asteroidi, lanciar loro contro oggetti in modo opportuno.

Le domande cui trovare risposta sono tante. Se la massa che si fa impattare è sufficientemente elevata così come la sua velocità, l’asteroide cambia rotta? Se sì, di quanto? In quanto tempo? Come essere certi della composizione dell’asteroide? Se l’asteroide non è del materiale previsto, che accade? Si riesce a centrare il bersaglio? Colpire Dimorphos è come centrare una monetina del diametro di un milionesimo di metro da una distanza di cento metri. Non banale.

Comunque sia, i profeti di sventura, i complottisti di varia specie e natura, i pessimisti cronici possono stare tranquilli. L’impatto è stato studiato per avvicinare Dimorphos a Didymos. Non verrà disturbata l’orbita del sistema che non interseca in nessun punto quella della Terra.

Dart (in inglese ”dardo”) è soprattutto una missione dimostrativa per tecnologie future. Il veicolo spaziale è semplice. Pesa solo 500 kg. Non deve svolgere esperimenti scientifici, ma verificare tecnologie in fase di sviluppo come il Draco (Didymos Reconnaissance and Asteroid Camera for Optical navigation), una telecamera di navigazione (parte del sistema di correzione continua della rotta di volo) che serve a centrare il bersaglio, determinando sito di impatto e contesto geologico.
Altra tecnologia che viene testata è il NEXT-C (Evolutionary Xenon Thruster–Commercial), sistema di propulsione elettrica a energia solare, che produce spinta mediante accelerazione elettrostatica di ioni (atomi caricati elettricamente) formati dal propellente allo xeno. C’è anche Rosa (Roll-Out Solar Array), un nuovo tipo di pannello solare, lungo 8.6 metri, meno massiccio e tre volte più efficiente di quelli attuali. Infine c’è Rlsa (Radial Line Slot Array), un’antenna, piatta e molto compatta, ad alto guadagno (e basso costo), per comunicazioni ad alta efficienza.

Aida prevede una seconda puntata, di responsabilità Esa: Hera. Verrà lanciato da un vettore Ariane 6 nel 2024. Tre anni dopo si troverà in prossimità di Didymos e Dimorphos per verificare i cambiamenti provocati dall’impatto del Dart. Hera sarà più pesante, circa 1050 chilogrammi, nonché più raffinato. Avrà diverse telecamere a bordo e un sistema Lidar (un altimetro laser) per misurare con alta precisione le modifiche dell’orbita di Dimorphos. Hera utilizzerà nuovi sistemi autonomi di navigazione, migliori e più efficienti, per future missioni interplanetarie. Trasporterà anche due CubeSat. Il CubeSat è un satellite miniaturizzato di ricerca, massa non superiore a 1,33 chilogrammi, composto da più moduli cubici, spigolo di 10 cm, che spesso utilizza componenti commerciali standard (COTS) per la sua elettronica e struttura.

Il primo CubeSat è l’Asteroid Prospector Explorer (APEX) ed effettuerà misurazioni di superficie dei due asteroidi. Poi tenterà di atterrare per osservazioni ravvicinate. Il secondo si chiama Juventas e lavorerà con Hera per un esperimento di comunicazione radio da satellite a satellite e per fare un rilevamento radar a bassa frequenza dell’interno dell’asteroide. Una volta completata la raccolta e trasmissione dati, Hera atterrerà su uno dei due asteroidi per ottenere informazioni sul materiale di superficie dell’asteroide.

In questo caso è cosa buona e giusta fare largo uso del condizionale. I se, i ma e i forse si sprecano. Sono tante le cose che non sappiamo, che non abbiamo mai fatto prima. Sento già i soliti luddisti anti-tecnologici che proclamano l’inutilità di tali attività, il loro costo eccessivo, lo spreco di denaro che potrebbe essere usato per scopi migliori e più urgenti. Eppure, se non si svolgono queste attività, se non si fanno investimenti ad alto rischio e dai ritorni incerti, la tecnologia non progredisce. La difesa planetaria ne ha bisogno. Non siamo in grado di bloccare un eventuale asteroide diretto verso di noi. Evento certo, non possibile, di cui non conosciamo la probabilità.

L’ultima volta che un asteroide, o forse una cometa, ha colpito la Terra è stato alle 7:14 del 30 giugno 1908. Non impattò la superficie perché esplose, con energia pari a 5 megatoni, 400 bombe atomiche di Hiroshima, ad un’altitudine fra i 5 e i 10 chilometri. Il bagliore venne visto a 700 km di distanza. Il rumore venne rilevato a 1000 km. Evento conosciuto come evento di Tunguska, remota regione della Siberia. A farne le spese furono milioni di alberi. Se ci fosse stata una città, sarebbe rimasta solo polvere. Si è valutato che l’oggetto viaggiasse alla velocità di 15 chilometri al secondo (54.000 km/h) e avesse un diametro fra i 30 e i 60 metri.

Mai sentito parlare di Apophis “il distruttore”? 320 metri di diametro. Tre campi e mezzo di calcio. Massa pari a 200 miliardi di tonnellate. Dicono che non ci sono problemi, passerà fra la Terra e la Luna nel 2029. Il 13 aprile. La probabilità che possa colpire la Terra è di 1 su 100mila. Altri parlano di arrivo previsto sempre il 13 aprile, ma nel 2036, domenica di Pasqua, ore 22:45. Probabilità stimata di impatto pari a 1 su 450. (nda: la probabilità di impatto non cambia in funzione della direzione di provenienza, il che dimostra che la Terra non è piatta). Mancano 8 o, in alternativa, 25 anni, per saper chi ha ragione e nello sciagurato caso di impatto per fare la conta della catastrofe.

Cari luddisti anti-tecnologici, investire denaro sulla difesa planetaria è cosa buona e giusta. O no?