Tre su tre. Jonas Carpignano è ormai un habitué di Cannes. E questo non deve sorprendere, il suo talento è cristallino, capace di restituire con un cinema di potenza visiva e di umanità profonda la complessità del presente. La conferma arriva proprio da questa terza prova in lungo, A Chiara, che segue Mediterranea (2015) e A Ciambra (2017, prodotto da Scorsese e candidato italiano agli Oscar del 2018) e come quest’ultimo è selezionato alla Quinzaine des Realisateurs. Un film più “narrativo” dai precedenti ma assolutamente coerente a uno sguardo che appare già dotato di una cifra distinguibile ed altissima. Benché non sia una storia vera, come lo erano i due citati con cui condivide la location calabrese quasi fosse una sorta di trilogia, quella dell’adolescente Chiara da Gioia Tauro nasce da un soggetto scritto dal regista italo-americano inserito in una realtà esistente, a partire dalla vera famiglia della protagonista, la giovane esordiente Swamy Rotolo, un vero incanto dentro al suo ruolo affatto semplice.
La vicenda, che parte e torna sulle vibrazioni di una festa di compleanno, mette al centro il percorso della ragazza, improvvisamente coinvolta in qualcosa di pericoloso e a lei incomprensibile, ma che purtroppo la riguarda da vicino. Il sottofondo, naturalmente, interroga l’universo criminale intessuto nella società calabrese, per quanto lo stesso Carpignano, che a Gioia Tauro risiede da 10 anni, sia il primo a dichiarare “io non ho mai visto uno sparo a Gioia. Per questo era importante raccontare la criminalità che comunque esiste in questa realtà da quella che è la mia percezione, dentro a una verità che ho capito nel tempo la gente non vuole sentire né accettare”. Lo sguardo di Carpignano, nato a New York da madre americana ma italiano di padre, offre un approccio cinematografico diverso dal consueto Made in Italy del crime movie o fiction tv.
Il suo, si diceva, è uno sguardo originale, fluido e ipnotico dal di dentro, prevalentemente focalizzato sulle nuove generazioni “che oggi possono fare scelte diverse dal passato”, e il tipo di malavitosi che vediamo non sono i boss “che non si sporcano le mani” ma quella manovalanza bassa equivalente all’operaio di fabbrica. Dietro, è ovvio, c’è lo spaccio di droga, ancora la principale fonte almeno d’entrata dell’Ndrangheta.
E c’è un mondo di attualità nella frase che il “popolo” di Gioia Tauro si trova a pronunciare “Per voi la mafia è un problema, per noi è sopravvivenza”: il suo farsi “sostituito” dello Stato carente nei momenti di grandi crisi, non ha fatto eccezione in tempo di pandemia. “L’hanno detto tutti, da Saviano in giù, lo Stato non può rimandare di sostenere il Sud, la mafia è pronta a rimpiazzato, e già l’ha fatto dall’inizio dei lockdown”. Film di produzione complessa, a lungo interrotto causa Covid, ha del miracoloso per come sia “uscito” dalla post produzione così narrativamente, drammaturgicamente e visivamente compatto, a maggior ragione considerando che è stato girato in sequenza, senza che gli attori avessero accesso alla sceneggiatura se non nelle parti loro riservate. Ne esce una Calabria diversa dal consueto luogo arcaico che il cinema suole raccontare: anche Gioia Tauro, benché provincia del profondo Sud, riesce a illuminarsi di globalità, con giovani che vogliono e sanno scegliere. Il film uscirà prossimamente in Italia per Lucky Red in collaborazione con Academy Two.