Abbiamo quattro varianti, oltre alla Delta in agguato, questa domenica. La prima contempla il doppio incredibile trionfo azzurro: del calcio e del tennis. Un’apoteosi. La Nazionale e Matteo Berrettini. Succedesse, la Penisola diventerebbe un pandemonio. Milioni di italiani a festeggiare, incuranti dell’infida Delta, accettata come male minore. Ma purtroppo c’è la variante opposta: Berrettini perde con Djokovic e l’Italia con l’Inghilterra. Una catastrofe, ancor peggio se poi si scoprisse che oltre ai giornalisti Rai si sono infettati i tifosi, già scornati dalla duplice sconfitta. La terza variante è un accettabile compromesso con la sorte: prevede Berrettini sconfitto da Djokovic, il che è assai probabile, mentre l’Italia batte l’Inghilterra, il che ci può stare. E’ un’opzione ragionevole e appagante. La quarta, l’Italia perde (cocente delusione) e Berrettini vince (della serie mai dire mai).

Due opzioni sono radicali. Tre, comunque, premiano il nostro sport.

Non premia affatto la sciagurata direzione dell’arbitro olandese che ha fatto perdere la Danimarca assegnando un rigore inesistente. Circola sul sito charge.org una petizione per far rigiocare Danimarca-Inghilterra. Nel momento in cui scrivo sono quasi 30mila i firmatari che chiedono di annullare il rigore inflitto ai danesi: “Era una cattiva decisione, per fischiare un rigore ci deve essere un contatto. Il contatto non c’è stato”.

Respinta al mittente. Non basta. L’Uefa assegna alla finale un altro olandese come arbitro, il 48enne Bjorn Kuipers. Verratti lo accusò d’avere insultato lui e il compagno Leandro Paredes nel ritorno della semifinale di Champions fra il suo Psg e il Manchester City che vinse 2-0. Gli arbitri sono come gli elefanti. Non dimenticano. Verratti è stato improvvido.

Altro dettaglio che non depone a nostro favore. Al Wembley Stadium (attesi oltre 60mila spettatori) autorizzato l’arrivo dall’Italia di mille tifosi. Un contingente sparuto. Saranno accolti dal presuntuoso leitmotiv di questi giorni: “Football It’s coming home”.

Vi sbagliate, fratelli: “It’s coming Rome”.

Il calcio torna a casa.

No, torna a Roma…

La sicumera dell’Inghilterra è insopportabile: crede di aver già in tasca il trofeo, considera scontato il risultato della finale di Wembley. I media locali fanno confronti: siamo superiori in difesa e in attacco, pari in porta e in difficoltà solo a centrocampo. Raheem Sterling ha dribblato gli avversari 32 volte, saltandoli in diciotto occasioni, sette volte l’ha fatto nell’area avversaria. Nessuno nell’Euro come l’ala del Manchester City. Emerson, invece, hanno deciso che è l’anello debole della Squadra Azzurra. In questo torneo l’Inghilterra ha incassato soltanto un gol, l’Italia tre (rigori extra time esclusi). Noi, affermano i commentatori inglesi, siamo in crescendo, loro in calo. Seguono cifre e statistiche rassicuranti. Il gioco dell’Italia sconfitto dall’entusiasmo dell’Inghilterra.

E’ l’antropologia del risentimento: la stanchezza della rassegnazione infinita. Per troppo tempo, dicono gli inglesi, siamo stati esclusi dal giardino buono del football, quasi una maledizione. L’abbiamo infranta, dopo 20070 giorni d’attesa. Non è giustizia, il calcio nella sua versione moderna è un’invenzione inglese. Forse è vero. Di certo, l’Inghilterra è la padrona di casa: ha disputato a Wembley le tre partite del suo gruppo, poi vi ha incontrato la Germania e la Danimarca, adesso tocca all’Italia. E’ l’undicesima volta che il Paese ospitante è in finale, tra Mondiali ed Europei. Delle 12 nazioni che in passato hanno disputato le finali dei campionati europei, solo 3 hanno perso nell’esordio, piazzandosi seconde. Una su quattro. E questo favorevole riscontro alimenta ulteriore ottimismo.

Oltre le questioni del cuore, poi ci sono quelle del portafoglio. La Premier League è il campionato più ricco e più visto del mondo. Gli sponsor fremono pensando al lucroso trionfo dei Three Lions. Molto meno a quello dell’Italia. I precedenti storici non sono di buon auspicio: la nazionale britannica non vince più nulla di importante da oltre mezzo secolo. Dai tempi di Mary Quant, l’inventrice della minigonna, dei primi Beatles e Rolling Stones. Una ferita che avvilisce i tifosi. Nel frattempo, i munifici club inglesi hanno conquistato 35 Coppe europee…grazie, però, ai fuoriclasse stranieri. Conosciamo la canzone.

Per correre ai ripari, Inghilterra e Italia hanno applicato lo stesso criterio selettivo. Hanno cioè limitato il numero dei giocatori “mercenari”. Gli inglesi che militano all’estero sono appena 3 su 26, quelli italiani 4 (anzi 5, con Donnarumma già ingaggiato dal Psg). La scelta ha premiato Roberto Mancini e Gareth Southgate, eccentrico inglese che detesta il tè, è un tipo taciturno, col vezzo del panciotto da gentiluomo di campagna, che ama le passeggiate in brughiera. Che importa se non apprezza il rito del tè (ogni giorno gli inglesi sorseggiano 163 milioni di tazze di tè, lui no). E’ riuscito laddove nessuno dei suoi predecessori è stato capace: raggiungere la tanto sospirata Finale.

E tuttavia, uno dei “piaceri perversi del calcio sta nella disparità che tanto spesso si viene a creare fra meriti e risultati”, ha scritto lo scrittore Tim Parks che è nato 66 anni fa a Manchester, si è sposato a Verona dove vive, tifa per i gialloblu dell’Hellas ed è docente allo Iulm di Milano. Il calcio è di una fluidità incredibile, lo hanno constatato gli spagnoli. Sa essere di un’inquietante perfidia. Come i destini che s’incrociano beffardi. Per esempio, il primo a segnare nel rinnovato stadio di Wembley fu l’italiano Giampaolo Pazzini. Era il 24 marzo del 2007, per testare il campo venne organizzata un’amichevole fra le under 21 dell’Italia e dell’Inghilterra. Finì 3-3. Un indizio?

La verità è che gli inglesi ci temono. Sette delle loro otto vittorie sono maturate in partite amichevoli. Gli stessi bookmakers non si sbilanciano più di tanto: gli inglesi sono favoriti, ma di poco. La forbice delle quote è molto ristretta (l’Italia è data tra 1 e 95 e 2 e 10, l’Inghilterra tra 1 e 85 e 2). Del resto, è la prima volta che le due nazionali si fronteggiano nella finale di un grande torneo. Ed è da 55 anni che l’Inghilterra desiderava una sfida di questo livello. Il livello che le apparterrebbe per censo e tradizioni, insistono i britannici. Alla finale del Mondiale 1966, l’intrusa era la Germania. Come recita un proverbio indigeno che Kipling ha usato come distico per un suo racconto, “vivo o morto… altro modo non c’è”. Dovesse vincere l’Italia, la nuova intrusa, sarebbe un evento davvero sinistro. Un funerale. La Brexit della Brexit.

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