Mondiali del 1994, 11 luglio, Stadio Rose Bowl, Pasadena, Stati Uniti.
Brasile – Italia 0-0 (3-2 dcr)
Gianluca Pagliuca tiene il pallone sul palmo della mano sinistra. Lo stringe forte contro il petto mentre cerca di buttare aria nei polmoni. Perché ha avuto paura. Di aver compromesso il sogno di un Paese intero. Di aver macchiato la propria storia. In maniera indelebile. A un quarto d’ora dalla fine Mauro Silva aveva calciato dai 30 metri. Più che un tiro in porta sembrava il tentativo di allontanare un pallone che poteva diventare problematico. La sfera si era messa in marcia senza troppa fretta, senza pensare di poter creare problemi. Solo che il portiere azzurro aveva letto male la traiettoria. Non l’aveva bloccata, ma l’aveva respinta come in un bagher da pallavolo. Il pallone si era imbizzarrito, era salito in alto, poi era rimbalzato contro il terreno e aveva picchiato contro palo. Un flipper impazzito che si era concluso con un lieto fine. Ora Pagliuca ha un debito di riconoscenza. E vuole saldarlo immediatamente. Così stampa un bacio sul suo guanto e poi lo strofina contro il palo. Sono le parole private espresse in pubblico di una famosa poesia di TS Eliot. Ma è anche un fotogramma che racconta una falsa verità. Contro quel Brasile l’Italia pensa di poter contare anche sull’irrazionalità. Non sarà così. Perché quell’immagine presto lascerà spazio a un’altra istantanea. C’è una sagoma all’altezza del dischetto del rigore. Ha la testa reclinata in avanti e le mani appoggiate sui fianchi. Il numero 10 che gli colora di bianco la schiena, il codino che gli copre una parte del cognome che porta sulle spalle. Roberto Baggio ha appena calciato alto il suo rigore. Non serve andare oltre. Il Brasile è campione del Mondo. Eppure in quello scatto è racchiusa tutta l’essenza di un campione dal genio sconfinato ma dall’efficacia intermittente. Quell’errore esalta la sua dualità: un dio del calcio che ritorna umano proprio nel momento decisivo. È in quel pomeriggio di Pasadena che Baggio conferma di essere speciale. Un calciatore capace di diventare sentimento, patrimonio condiviso.