Società

Come a Hong Kong, temo che pure da noi si arrivi a risolvere i problemi con le cattive

di Federico M.

Immersi come siamo nei fatti di casa nostra, tra le polemiche e la splendida avventura azzurra agli Europei, i principali media si sono dimenticati di importanti temi internazionali. Il 2020 ha portato via con sé il primo anno di Covid-19, le drammatiche (forse tragicomiche) elezioni presidenziali negli Usa e, non ultime, le proteste di Hong Kong.

Sono capitato per caso su un video, un misto di arte e desolazione totale sulle note di Louis Armstrong, “And I think to myself, what a wonderful world”. Poco più di due minuti di scene di proteste, di cariche della Polizia e di giovani e coraggiosi manifestanti che affrontano il loro destino. Con la promulgazione della legge sulla “sicurezza nazionale” voluta da Pechino nel maggio 2020, è andato in frantumi ogni sforzo dei movimenti per i diritti civili.

Oggi Hong Kong è uno stato di polizia, dove la gente ha paura di esprimere opinioni come era solita fare, teme la delazione. Nel leggere la descrizione del video, affidata ad un commento dell’autore, si viene a sapere una realtà ormai taciuta, passata più che in secondo piano sui media: la sindrome da stress post-traumatico e l’ansia generalizzata sono diventate comuni tra i giovani, molti dei manifestanti sono ormai in carcere, in esilio, oppure nascosti in località ignote. Molti di loro passeranno il resto della loro vita sotto un regime, rassegnati alla perdita definitiva della loro libertà.

Nel pensare a Hong Kong mi è capitato di paragonarla ai fatti di Budapest nel 1956 o di Praga. Sì, Hong Kong potrebbe essere, con le dovute differenze, la Budapest dei nostri tempi. Una vicenda amara dal sapore di guerra fredda, dove la Cina fa quel che vuole nella sua sfera d’influenza (così come gli Stati Uniti e, ai tempi, l’Urss) e la controparte si può limitare a condannare, nient’altro. Il finale mette i brividi: “Forse è troppo tardi per Hong Kong, ma puoi ancora imparare qualcosa da tutto questo. Tu non sei solo e il tuo dolore è condiviso da tanti, silenziosi sconosciuti. Quando abbastanza persone decidono di parlare con una voce sola, la storia può cambiare. L’ho visto accadere”. Questa è la lezione dei ragazzi di Hong Kong, che ormai chiedono solo di non essere dimenticati.

Nel leggerla, non ho potuto fare a meno di pensare al nostro Paese. Non voglio essere frainteso, non è mia intenzione paragonare la nostra situazione (quasi “idilliaca” se confrontata con quella di una dittatura) con la Cina, né affrontare la questione legata ai rapporti economici che abbiamo con Pechino. No, la questione riguarda il futuro d’Italia e la libertà. Siamo governati da una classe dirigente più che mediocre, i cui errori e la cui ipocrisia, le cui polemiche continue su ogni singolo tema (ora è il turno del ddl Zan) hanno alimentato una già presente disaffezione nei confronti della politica. L’astensione nei sondaggi tocca il 40%, il vero primo partito (vuoi per ignoranza, qualunquismo o per legittima disillusione).

Tra i giovani la situazione è parecchio grave, siamo in pochi ad occuparci di vicende simili. Tra i più la mancanza di educazione, di un’istruzione adeguata è diventata fonte di atti violenti e di mancanza di rispetto verso qualunque cosa, quasi per moda (e la ribellione per conformismo, si sa, non porta mai da nessuna parte). Quando il fenomeno scoppierà nella sua interezza ne vedremo le conseguenze.

Il disprezzo nei confronti della politica, del parlamentarismo, delle istituzioni repubblicane e il menefreghismo della politica stessa nei confronti di questo tema (e non solo) farà sì che gli italiani si rivolgeranno a chi prometterà loro di risolvere i loro problemi con le cattive. L’uomo forte della situazione che spiegherà ai suoi sostenitori adoranti come potrebbe splendere il nostro Paese se solo gli ostacoli al suo potere fossero rimossi. L’uomo forte che ci priverà di tutto e della cosa più preziosa che abbiamo, la libertà. Ma forse, sono soltanto un inguaribile pessimista.

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