“Italia campione, effetto Draghi: calcio, tennis e musica, così il nostro Paese è tornato protagonista”. All’indomani del trionfo agli Europei la versione online del Messaggero sfodera un titolo che è un sillogismo audace: il successo della nazionale è merito suo, del presidente del Consiglio. Ma più che il tema, indimenticabile è lo svolgimento. “Effetto Draghi nel pallone. Super Mario aiuta Super Mancio“, è l’attacco entusiastico dell’articolo di Mario Ajello.”Il premier – ci spiega – lo zampino nella vittoria della Nazionale lo ha messo così: creando un contesto internazionale favorevole all’Italia, presentandola ovunque nei consessi europei e mondiali come un Paese serio e credibile, mettendo la sua faccia a garanzia del volto rinnovato dell’intera nazione. Un Paese così rinnovato nella considerazione degli altri”, argomenta, “è un Paese attrezzato a vincere, e questa è stata la scommessa di Mario Draghi. Lui ha preparato il terreno, Roberto Mancini e i suoi ragazzi lo hanno calpestato da campioni e il gioco è fatto”.
Anche dopo questo chiarimento, il nesso tra i successi diplomatici del premier e quelli calcistici della nazionale continua a sfuggire all’intelletto medio. Ma Ajello insiste e tira in mezzo anche il tennis: Draghi “non ha giocato a Wimbledon (dove Berrettini si è fatto valere alla grande) e neppure a Wembley ma come ispiratore della nuova Italia che eccelle nello sport perché ha cominciato a migliorarsi in tutto il resto il premier le sue partite le ha giocate (anche l’assenza di punteggiatura è letterale, ndr)”. Finito? No, Draghi diventa anche artefice della vittoria dei Maneskin all’Eurovision Song Contest: “E non è neppure un cantante rock SuperMario, non ha in tatuaggi di Damiano né i capelli ora corti e prima lunghi del frontman dei Maneskin ma se la band romana dai concertini per qualche spicciolo di via del Corso si è trasferita a Eurovision vincendolo, spopola al vertice di Spotify e si è meritata la gigantografia luminosa a Time Square e il trionfo globale il timbro dell’Italia di Draghi – o comunque dell’Italia che si sente bene e vuole farlo vedere a tutti – qualcosa deve aver fatto”.
A questo punto ne avrebbe abbastanza persino la mamma di Draghi. Ma non la firma del Messaggero, che si lancia in una riflessione di sintesi. “E dalla band di Damiano alla banda del Mancio, dal Berrettini super alla nazionale di basket (pure quella, ndr) che a sua volta ha stupito tutti per bravura come non mai negli ultimi anni, l’intero contesto di questa nuova eccellenza è avvolto nel Pil in crescita e nelle previsioni che danno all’Italia un più 5 per cento per fine 2021. Si è sempre parlato dell’Effetto C – cioè della fortuna come ingrediente della politica, dello sport e della vita – ma stavolta c’è da considerare l’Effetto D come Draghi che anche Mattarella molto gentilmente riconosce al premier e lo estende a tutti: «Io come portafortuna?», dice il Capo dello Stato all’equipaggio dell’aereo presidenziale che lo ha riportato da Londra a Roma nella notte. E si risponde: «No, la fortuna l’abbiamo portata tutti». Compreso Draghi (le ultime due parole sono fuori dalle virgolette, ma non importa, ndr)”.
“Ma l’Effetto D – precisa Ajello in chiusura, per non sembrare irrispettoso – non va ridotto a qualcosa che ha a che fare con la sorte. È da collegare invece alla professionalità con cui si allestisce la buona immagine di un Paese come precondizione per farlo vincere non solo sul prato di Wembley ma in tutti i campi. A cominciare da quello del Recovery e della ricostruzione, dove siamo ancora al prepartita ma i gol arriveranno“. Sul giornale di carta, poi, è la stessa firma a proporre altri saggi di bravura e celebrare “Draghi lo schiacciasassi”, che al G7 in Cornovaglia di un mese fa dava “lezioni di investimenti e crescita un mese fa tra l’ammirazione della Merkel e degli altri”. Di più: “Nessuno parla più di Italietta, nessuno indulge ancora sulla trinità pizza-mafia-mandolino come riassunto (immaginario e ingiusto) del nostro Paese. E semmai c’è un tridente rispettato nel mondo, Mattarella-Draghi-Mancio, e in cui l’Europa sa riconoscersi”.