Mario Draghi ormai lo conoscono tutti per essere stato molti anni al vertice della Banca Centrale Europea e quindi lui era, e rimane anche se non è più là, il nostro punto fermo contro i sacerdoti europei dell’austerity; ma anche per l’uso disinvolto che seppe fare del “bazooka monetario europeo” (il Quantitative Easing, con il quale, a botte di 50 miliardi o più di euro al mese acquistò buona parte del debito sovrano dei paesi europei (inclusa l’Italia) che trovavano difficolta a collocarlo nel libero mercato. E, ultimo ma non ultimo ovviamente sul piano della fama che gli ha procurato, per quel famoso “whatever it takes” che ormai conoscono anche quelli che non sanno l’inglese.
Ma Marta Cartabia? Da dove sbuca fuori questa gentildonna dall’aspetto giovane e simpatico che nessuno, o quasi, ha mai visto né sentito prima sui quotidiani o nei notiziari Tv, la quale, benché giovanissima ancora, è già salita al vertice della Corte Costituzionale, vestendone la prestigiosissima toga. E’ stato proprio Draghi a volerla nel suo governo, e lei, pur non avendo esperienze ministeriali (e nemmeno parlamentari) non ha esitato nemmeno un istante a dire di sì a quella chiamata. E’ corsa subito in aiuto all’unico che, in quella compagine governativa, poteva vantare un “Curriculum Vitae” più “stellare” del suo.
Anche il “CV” della Cartabia infatti, pur rimanendo un gradino al di sotto di quello di Draghi, può vantare un livello decisamente superiore a quello di molti suoi colleghi nella compagine ministeriale. Eccolo qui in sintesi: Cattedra di Diritto Costituzionale alla Bocconi di Milano; “visiting professor” in diverse Università Europee e Americane (New York, Yale, Notre Dame); collaborazioni con la Commissione Europea e, naturalmente, la Corte Costituzionale di cui ha persino raggiunto il gradino più alto.
Certo, i 5Stelle hanno dovuto mandar giù un “rospo” molto grosso. Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia del precedente Gabinetto Conte, non era uno dei tanti “peones” che Grillo aveva fatto entrare nel Parlamento e poi nell’area governativa ma, chi ne capisce di legge, sa che ha retto bene il suo compito e che nel suo pacchetto di riforma c’erano molti di quegli obbiettivi che il Movimento fin dall’inizio si era dato. Tra questi la riforma del processo penale e la correlata riforma della “prescrizione”, senza la quale migliaia di processi penali continueranno a fermarsi prima di arrivare a conclusione.
Non torno ora a cercare di spiegare in dettaglio questo meccanismo e le sue conseguenze, lo ha già fatto in modo perfettamente propedeutico il direttore del giornale cartaceo di questa testata con diversi editoriali tra i quali tre che spiegano molto, già nel titolo, quello che accade: giovedì 8 luglio nell’editoriale “Peggio del dl Biondi” (quel decreto suscitò una rivolta popolare che sfociò nelle monetine lanciate contro Craxi), Travaglio spiega perché la riforma “Cartabia” fa “morire” i processi, anziché concluderli, riportando la situazione “prescrizioni” come prima della riforma Bonafede o peggio.
Il giorno successivo nell’articolo “Forza Italia”, Travaglio è ancora più esplicito, riferendosi alla riforma “Cartabia” come ad una “Controriforma” e cita come co-autori della controriforma anche Salvini (e la sua “Lega”) e Serracchiani, che mette la sua faccia per il Partito Democratico. Enrico Letta invece preferisce spendersi solo per i diritti civili (Ius Soli, LBGTQ, Eutanasia, ecc.). Qualcuno può ricordargli che quelli erano i temi preferiti di Marco Pannella, che in queste battaglie di onori ne ha avuti tanti, ma di voti sempre pochi!
Nell’articolo firmato da Giuseppe Pipitone, si strigliano severamente anche i “grillini” che, rimasta in ombra la stella polare del “Grillo-garante”, si comportano come i naviganti rimasti senza bussola.
Nell’editoriale di Marco Travaglio pubblicato sabato, dal titolo “Aridatece il Caimano”, Travaglio si guarda bene dall’invocare veramente un ritorno di Sua Emittenza, ma spiega anche ai “duri di comprendonio” il “trucchetto” attraverso il quale, per evitare la prescrizione, si modificano alcuni limiti marginali sulla durata del processo per arrivare ad una conclusione che invece di chiamarsi prescrizione si chiamerà “improcedibilità” così da sembrare una cosa inevitabile. Quindi cita Davigo che preferisce il termine tecnico “amnistia mascherata”.
In conclusione descrive in dettaglio i disastri giuridici che la “Riforma Cartabia” potrà produrre e si augura che il voto nel Parlamento possa fermare questa mascherata opportunità per raggiungere l’impunità.
Se a questa legge restauratrice dell’impunità aggiungiamo i quesiti proposti nel Referendum di Salvini ne emerge una situazione d’insieme che giustifica in pieno il titolo dell’articolo (“Giustizia di Classe”) col quale si scoperchia la grande determinazione del duo Draghi-Cartabia (di cui all’inizio del mio scritto ho lodato gli immacolati Curriculum) usati pero per smantellare, invece che costruire, riforme di giustizia indispensabili ad un vivere corretto per tutti.
Ci si chiede quindi a cosa servono quei “Curriculum stellari” se coloro che li possiedono li usano per servire interessi diversi da quelli per cui sono stati chiamati a servire. Vuoi vedere che è meglio lasciar fare a persone semplici più idonee a rispondere alle regole della democrazia, come appare riferirsi il modello Conte 5Stelle, che ho entusiasticamente abbracciato, piuttosto che a questi campioni della restaurazione (cui Grillo sembra si sia associato), che invece di rispondere alle regole della buona Democrazia preferiscono mettersi al servizio di una invisibile “oligarchia”?