Un delitto perfetto. È quello che si potrebbe consumare sulla giustizia penale. Obiettivo? Varare un’amnistia, cioè una legge dello Stato che cancella, di punto in bianco, decine di migliaia di reati, i rispettivi processi e anche le condanne già irrogate: nessuno ha il coraggio di proporla da più di trent’anni. Il ragionamento è semplice: siccome la nuova riforma di Marta Cartabia rischia di ingolfare pesantemente le corti d’Appello, allora sarebbe il caso di farla partire affiancandola a quello che è nei fatti un colpo di spugna. Ma come reagirebbe l’opinione pubblica? Male, a meno che i primi a proporre l’amnistia non siano gli stessi magistrati. Sembra un ragionamento cervellotico, eppure è quello che sta succedendo in queste ore. “Per non far partire il nuovo processo con un fardello che rischierebbe di comprometterne l’efficacia, suggerisco di prendere in seria considerazione una parola scomparsa dal dibattito pubblico. La dico sottovoce: amnistia“. E’ questo l’assist delle toghe alla politica. Una frase pronunciata al palazzo dei Congressi di Firenze, dove lo scorso weekend si sono riunite – proprio nei giorni in cui la giustizia monopolizza il dibattito politico – le toghe di Magistratura democratica, la corrente di sinistra che da sempre vanta un rapporto privilegiato col Pd. Ad aprire il vaso di Pandora, con la citazione che precede, è stato il giudice del tribunale di Torino Andrea Natale. “Serve un’amnistia coraggiosa, che comprenda tutti i reati puniti con un massimo edittale fino a 4-5 anni e commessi prima di una certa data. Il “vorrei ma non posso” in questo caso non serve”, rilancia, parlando al fatto.it, il segretario in pectore, Stefano Musolino. Per approvarla, secondo Costituzione, serve la maggioranza dei due terzi in entrambi i rami del Parlamento: missione non facile, perché almeno due forze (il Movimento 5 Stelle e Fratelli d’Italia, che insieme hanno 196 deputati e 95 senatori) sulla carta sono contrarie per principio. Ma con la spinta, decisiva, del mondo della magistratura il delitto perfetto potrebbe addirittura riuscire.

Al 22° congresso di Md si è iniziato a parlare ad alta voce di quella che è già la convinzione silente di molti: il complemento naturale alla riforma penale varata dal Governo (che costringerà, a pena di estinzione del processo, a svolgere l’appello in due anni e il giudizio di Cassazione in uno) è proprio un provvedimento di clemenza generalizzata, una falciatrice per sgravare, almeno in parte, le Corti d’Appello dal loro monumentale arretrato, la soluzione più comoda per arginare il rischio che la tagliola di Marta Cartabia decapiti migliaia di processi in tutta Italia. A caro prezzo, però: decapitarne altrettanti con un maxi-colpo di spugna che in Italia nessun governo ha più proposto dal 1990. Ma superato il primo tabù ecco che le voci a favore si moltiplicano: sulla Stampa si schiera l’ex procuratore di Torino Armando Spataro: “Senza scandalo si potrebbe ipotizzare un’amnistia per reati minori, utile ad attenuare la quantità degli arretrati presso gli uffici giudiziari”. Sul Corriere c’è Ezia Maccora, presidente aggiunta dell’ufficio gip di Milano e storica esponente di Md: “Una riforma come questa non può seriamente partire senza una soluzione che garantisca lo smaltimento degli arretrati degli uffici”.

Il timore infatti è che nei distretti più oberati di fascicoli pendenti la nuova prescrizione (o improcedibilità che dir si voglia) possa avere l’effetto di una mannaia, un gigantesco salvacondotto capace di falciare il 50% e più dei procedimenti che arrivano in Appello. Lo ha spiegato sul Fatto il presidente della Corte d’Appello di Napoli Giuseppe De Carolis: “Qui riuscire a fare un appello in due anni è impossibile. Abbiamo 57mila processi pendenti, la nostra pianta organica è completamente inadeguata“. E lo ribadisce in un duro comunicato anche Area democratica per la giustizia, il cartello progressista che unisce Md e Movimento per la giustizia: “Attualmente almeno 10 Corti su 29 non sono in grado di rispettare questo termine. Non per incuria dei dirigenti o pigrizia dei magistrati ma per l’enorme carico di lavoro che grava su di esse e che la riforma non accenna a voler risolvere. A fronte di questa realtà è necessario chiedere con forza un ripensamento, se non si vuole che la maggior parte del lavoro giudiziario, svolto dai Tribunali in primo grado, sia condannato a finire nel nulla. Ciò non in nome della prescrizione ma dell’improcedibilità, e il maquillage sulle denominazioni corrisponderà ad una realtà persino peggiore di quella attuale”.

“Così com’è, se entrasse in vigore domani, la riforma non potrebbe funzionare“, argomenta al fatto.it Musolino, sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, membro dell’esecutivo di Md e prossimo segretario della corrente (sarà eletto in via ufficiale a settembre). Il giudizio complessivo sul testo Cartabia, precisa, non è negativo: “La riforma segna un passaggio culturale nel cercare la deflazione attraverso meccanismi di giustizia riparativa, evitando di arrivare sempre al processo”. Ma le norme sulla prescrizione “hanno senso solo se si mettono le Corti d’Appello in condizione di applicarle”. E quindi, spiega, “un’amnistia è necessaria dal punto di vista pratico-funzionale, per decongestionare i distretti come il mio, quello di Catania o quello di Napoli, in cui i grandi processi di criminalità organizzata succhiano via gran parte del tempo e delle risorse. Basti pensare che in Corte d’Appello a Reggio non arriva un nuovo collega da anni: nessuno fa domanda per venire, perché sono spaventati dal carico di lavoro insostenibile”.

Il favore per un provvedimento di clemenza, racconta – seppur non citato nei documenti finali del congresso – è condiviso da molti colleghi dell’area culturale e politica più liberale e meno “carcero-centrica”. E lui stesso, spiega, se chiamato a esprimersi porterebbe questa posizione come contributo in un dialogo con le istituzioni. Resta da capire l’orientamento delle Camere, dove al momento i voti non ci sono: oltre a grillini e meloniani, infatti, anche la Lega sarebbe in forte difficoltà a spiegare una scelta del genere al proprio elettorato. Ma se a suggerire l’idea arrivasse una presa di posizione ufficiale del mondo della magistratura, le posizioni potrebbero ammorbidirsi. “Può anche darsi che, essendovi una larga maggioranza, si pensi a un’amnistia per azzerare la pendenza delle Corti d’appello”, rifletteva già sabato, sul Fatto, Piercamillo Davigo. Così, però, si radicherà ancora di più l’idea che chi non cerca di guadagnare tempo è uno sciocco e quindi si affosserà definitivamente la possibilità di funzionamento del processo penale”. Il delitto perfetto assume contorni sempre più concreti.

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