Dopo gli episodi di violenza sui detenuti a Santa Maria Capua Vetere, l’attenzione si sposta sul carcere di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. Non un carcere qualunque, ma un ex Ospedale psichiatrico giudiziario che mantiene tutt’ora un reparto di salute mentale e sul quale qualche giorno fa ha puntato il dito la garante dei detenuti di Caserta, Emanuela Belcuore: “Le istituzioni e la magistratura intervengano per fare luce su quanto avviene nel carcere di Barcellona Pozzo di Gotto”. Proprio da un detenuto del carcere siciliano è arrivata una denuncia per maltrattamenti presentata al magistrato di sorveglianza.

Un episodio avvenuto lo scorso novembre, denunciato formalmente solo da qualche settimana che conferma, quindi, l’allarme lanciato da Belcuore durante la conferenza stampa dei garanti tenutasi in seguito alle violenze di Santa Maria Capua Vetere. Un detenuto con gravi problemi respiratori e un altro in sciopero della fame. Sono queste le segnalazioni fatte da Belcuore, dopo le segnalazioni inotrate al garante dei detenuti siciliano, Giovanni Fiandaca. Segnalazioni che tuttavia, dopo le verifiche, non sono state confermate: “Non ci risulta nessuno in sciopero della fame, mentre il detenuto con problemi respiratori è stato trasportato all’ospedale Papardo di Messina per accertamenti e la situazione non appare critica”, riferisce Fiandaca. Mentre anche la direttrice del carcere, Romina Tajani conferma: “Non ritengo ci siano casi di questo genere, mi sento assolutamente serena, almeno sotto la mia direzione non mi risulta sia avvenuto niente che confermi l’allarme”.

Le accuse della garante casertana non sarebbero dunque fondate. Eppure l’ultimo tentativo di fuga dal carcere è solo di due giorni fa, quando uno dei detenuti ha tentato di scavalcare il muro di cinta ed è caduto fratturandosi un piede. La notizia è stata data da Salvatore Chillemi, delegato nazionale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, che punta il dito sulla cronica carenza di organico: “È evidente che se non si provvede in tempi brevi a rimpinguare gli organici, simili criticità non possono che aumentare. Infatti oltre alla Polizia Penitenziaria è necessario che per tutti i soggetti psichiatrici sia previsto un aumento del personale sanitario così come avviene nelle Rems”. Ed è di certo questa una delle note dolenti del carcere di Barcellona.

Non un carcere qualsiasi ma un ex Ospedale psichiatrico giudiziario, che, dopo la chiusura degli Opg (la legge è del 2015), adesso ospita detenuti semplici e detenuti per cui a seguito della detenzione sono sopravvenute criticità psichiatriche (non dunque internati giudicati incapaci di intendere e di volere ma socialmente pericolosi com’era negli Opg): sono 56 uomini e 8 donne nel reparto di articolazione di salute mentale, come riferisce il dirigente dell’Asp di Messina, Carmelo Crisicelli. Di questi due sono soggetti che non dovrebbero essere in carcere ma per via del sovraffollamento nelle Rems (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, che hanno sostituito gli Opg) sono momentaneamente detenuti nella casa circondariale del Messinese. Fino a qualche giorno fa erano quattro, ma due sono stati trasferiti alla Rems di Naso, paesino sui Nebrodi, competente per la Sicilia occidentale dall’ex Opg, ormai chiuso per legge e riconvertito in carcere semplice.

Nella riconversione però, qualcosa ancora non funziona del tutto, tant’è che la Corte costituzionale ha ordinato il 24 giugno un’istruttoria sulle difficoltà di applicazione delle misure di sicurezza, sollecitata da un caso nel Lazio di misura non applicata proprio perché mancava posto nelle Rems. E non a caso è il reparto di salute mentale quello a dare più problemi al carcere di Barcellona. L’Osapp aveva già segnalato un episodio di violenza da parte di un detenuto ai danni di un agente lo scorso febbraio, mentre a febbraio del 2020 un altro sindacato di polizia penitenziaria, il Sappe, parlava di “bollettino di guerra” segnalando “l’impossibilità della gestione della sezione Articolazione salute mentale”. E l’allarme della garante casertana è adesso rilanciato da padre Giuseppe Insana, da anni volontario all’interno del carcere, mentre nella sua casa di accoglienza a Barcellona aveva ospitato negli anni migliaia di internati dell’ex Opg. Attività di volontariato proseguita anche dopo ma interrotta dal Covid: “Adesso è un luogo chiuso, serrato – dice padre Insana -. Ogni detenuto deve scontare la pena, però chi ha un’infermità, ha diritto ad essere curato adeguatamente e nell’articolazione di salute mentale del carcere di Barcellona questo diritto è negato”. E spiega: “Oltre agli psicofarmaci sono necessari altri interventi di socializzazione e riabilitazione. Tutti questi aspetti mancano, col risultato che in assenza di un trattamento sanitario adeguato non sono mancati episodi di autolesionismo, tentati suicidi, suicidi e aggressioni, ci vorrebbero gli interventi riuniti della sanità pubblica, interventi da parte dell’Asp e della direzione della casa circondariale ma non avvengono e gli episodi si susseguono”.

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