Settantuno associazioni italiane - per lo più cristiane, ma non solo - chiedono a Palazzo Madama, che sta esaminando il disegno di legge contro l'omotransfobia, di dare il via libera al testo perché "uno Stato laico" deve "comunque rispondere ad un urgente bisogno di tutela di tutte le persone, comprese le persone lgbt+"
“Approvate senza modifiche il ddl Zan”. È l’appello rivolto ai senatori da 71 associazioni italiane, per lo più cristiane, ma non solo. Un appello che arriva a dispetto di quanto recentemente affermato, attraverso i canali diplomatici, dalla Segreteria di Stato che sostiene che il disegno di legge contro l’omotransfobia, all’esame di Palazzo Madama, violi l’accordo di revisione del Concordato tra l’Italia e il Vaticano. Critiche seguite a quelle della Cei. Successivamente però la posizione della Santa Sede, almeno da un punto di vista pastorale, è stata ammorbidita da Papa Francesco. “Come cittadini, credenti lgbt e loro genitori, gruppi, associazioni cristiane e non, ed operatori pastorali che conoscono da vicino la condizione delle persone lgbt+ – si legge nell’appello – riteniamo che il Parlamento italiano debba approvare al più presto il disegno di legge Zan”.
Tra i sottoscrittori spiccano in particolare il Centro interconfessionale per la pace, il collettivo di Adista, il settimanale di informazione sul mondo cattolico e le realtà religiose, diverse sedi locali di Agedo, l’associazione costituita da genitori, parenti e amici di uomini e donne omosessuali, bisessuali e transessuali che si impegna per l’affermazione dei diritti civili e dell’identità delle persone lgbt+. Ma anche il Consiglio nazionale federazione femminile evangelica valdese e metodista, la Rete delle donne luterane, la Federazione donne evangeliche, le Comunità cristiane di base, la Federazione giovanile evangelica, e Noi siamo Chiesa del movimento internazionale Imwac (International movement we are Church).
I firmatari si dicono “consapevoli della complessità del tema in oggetto e delle perplessità espresse anche in ambito ecclesiale, tuttavia riteniamo che uno Stato laico debba comunque rispondere ad un urgente bisogno di tutela di tutte le persone, comprese le persone lgbt+. In questo caso riteniamo che il ddl Zan sia al momento lo strumento più adeguato”. E spiegano: “In Italia dal 2013 ad oggi sono state registrate già ben 1.287 vittime della violenza dell’omotransfobia, di cui 185 solo quest’anno”. Perciò, “siamo dell’opinione che la mancata approvazione del ddl, per queste persone e per la società italiana, certamente comporterebbe un danno molto maggiore rispetto agli eventuali inconvenienti, su cui si potrà intervenire in seguito grazie ad un confronto schietto e fecondo”.
Entrando nel merito dei punti contestati, i responsabili delle associazioni scrivono di essere “convinti che le varie definizioni presenti nell’articolo 1, circa ‘sesso’, ‘genere’, ‘orientamento sessuale’ e, in particolare, ‘identità di genere’ siano opportune, pur nella loro complessità; come complessa è la realtà esistenziale che descrivono. Raccogliere tutti questi significati nell’unico concetto di ‘sesso’, come suggerito da un noto costituzionalista, non renderebbe giustizia alla realtà diversificata delle persone che il ddl intende tutelare. In particolare riteniamo che sia da confermare la dicitura ‘identità di genere’, compresa la sua definizione, perché possa davvero essere rappresentata la realtà delle persone transessuali che abbiano o meno concluso il percorso di transizione”.
Affermazioni fatte in base a una lunga esperienza rivendicata nell’appello. “Conosciamo – scrivono i firmatari – queste persone e i loro familiari, e per questo possiamo affermare che, considerare il sesso biologico attribuito alla nascita come l’unica possibilità per loro di identificare se stesse, pensare quindi che la percezione di sé non definisca anch’essa oggettivamente la realtà esistenziale del soggetto, rappresenta per noi una grave offesa alla persona; spesso vissuta come violenza, fino al suicidio. Le persone transessuali esistono, anche per l’ordinamento giuridico italiano almeno fin dalla sentenza n. 161 del 1985 della Corte Costituzionale; nonché la sentenza 221 del 2015 in materia di rettificazione di attribuzione di sesso”.
E aggiungono: “Circa il paventato pericolo di limitare la libertà di espressione, riteniamo che l’articolo 4 offra a chiunque sufficienti garanzie, tra l’altro già assicurate dalla Costituzione. Circa l’articolo 7, che non intende altro che promuovere una educazione al rispetto di ogni persona nella sua diversità affettiva e sessuale, a nostro parere non introduce nessuna dittatura ideologica: l’attenzione alle circostanze concrete di tempo, luogo, opportunità e risorse espressa nello stesso articolo, fa della giornata del 17 maggio una vera occasione di educazione al rispetto sociale per le generazioni più giovani”.
Twitter: @FrancescoGrana