Il d-day è arrivato. Anzi, il ddl Zan day. Alle 16:30 cominceranno i lavori a Palazzo Madama per la legge contro omo-bi-lesbo-transfobia, misoginia e abilismo (è lungo, me ne rendo conto: ma se avete imparato supercalifragilistichespiralidoso riuscirete anche con frasi di senso compiuto). Spoiler: l’iter si preannuncia un vero e proprio Vietnam parlamentare e molti sono gli ostacoli lungo il cammino.
Puntate precedenti: il ddl Zan è già stato approvato alla Camera con i voti di Pd, Leu, M5S e Italia Viva. Nel passaggio al Senato, tuttavia, le cose sono cambiate. Nello stesso Pd c’è stato il fuoco amico: Andrea Marcucci, Valeria Fedeli e Valeria Valente con le loro dichiarazioni non hanno certo facilitato il percorso per una rapida approvazione della legge. Poi, con la caduta di Conte e l’arrivo di Draghi, Italia Viva è stato il partito che maggiormente ha messo i bastoni tra le ruote al ddl.
Due i punti critici: l’identità di genere, raccontata come trionfo del gender, e la possibilità di celebrare il 17 maggio nelle scuole. Cosa spacciata come fine dell’autonomia scolastica e obbligo per famiglie e adolescenti a sottomettersi all’ideologia della fantomatica lobby Lgbt+. Narrazione falsa e fuorviante, divenuta però prevalente.
Secondo tale narrazione, il ddl Zan necessiterebbe di un ulteriore giro di mediazioni per avere un consenso più ampio in Senato. Chi dice ciò, tuttavia, o mente o è poco informato. La mediazione alla Camera c’è stata eccome, a partire dalla famigerata clausola salva-idee. E se il testo dovesse essere modificato in Senato, ricomincerebbe tutto l’iter alla Camera. Ciò significa, di fatto, affossare la legge, perché non ci sarebbero i tempi tecnici per l’approvazione.
Che partiti come Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia remino contro fa parte del gioco della democrazia. La destra, in Italia, è tradizionalmente contraria ai diritti delle persone Lgbt+. Ergo, nessuna sorpresa. Che la pseudo-sinistra e i cespugli centristi si mettano di traverso, dopo aver approvato lo stesso ddl alla Camera, va interpretato come il segno di un mutamento di rapporti politici, avvenuto proprio dopo la caduta del governo Conte. Secondo osservatori e osservatrici, sul piatto ci sono l’elezione del futuro presidente della Repubblica e le prossime alleanze politiche. Renzi, insomma, starebbe guardando a destra.
Accanto a questo mutamento, per avere un quadro completo, va ricordata l’ostilità alla comunità arcobaleno dentro alcune frange del Pd e dei suoi alleati. La nostra, insomma, è una classe politica sostanzialmente omotransfobica. Poi possiamo discutere su come questo sentimento diventi narrazione pubblica, tra i mille distinguo su identità di genere e altre amenità. Ma la sostanza è quella.
E a proposito di narrazione: credo che occorra essere chiari su almeno tre punti fondamentali. In primo luogo, il movimento Lgbt+ italiano è quanto mai unito nel chiedere una legge che sia quella uscita dalla Camera. Non vogliamo rivivere, insomma, un déjà vu come quello delle unioni civili. Legge segregazionista e a diritti parziali che è passata sacrificando le famiglie arcobaleno e i loro bambini. Non vogliamo una legge che faccia fuori i diritti e le tutele delle persone transgender, insomma. I media sembrano non aver recepito questo messaggio. Ed è importante che passi, in un modo o nell’altro.
Ancora, sui media: sono stati imbarazzanti, per non dire peggio, nel racconto di questo iter parlamentare. Avete visto associazioni di categoria, militanti Lgbt+ e persone impegnate in prima linea nei vari dibattiti in tv? No, appunto. Con qualche eccezione per Marilena Grassadonia (già Famiglie Arcobaleno) e Vladimir Luxuria, la narrazione di massa è stata fatta da persone eterosessuali e cisgender per un pubblico altrettanto “etero & cis”. E quando si è data voce a qualche gay o a qualche associazione lesbica, si sono cercate realtà ampiamente al di fuori del movimento arcobaleno.
Infine: Italia Viva si è ritagliata, grazie anche alle continue dichiarazioni dei suoi parlamentari, il ruolo di cavallo di Troia dentro la maggioranza che avrebbe dovuto approvare il ddl Zan. È vero, dentro Pd e M5S possono esserci franchi tiratori, ma le dirigenze premono per l’approvazione della legge così com’è. Renzi, invece, vuole la mediazione (con tutti i rischi di cui si è già detto). Ed è ironico, se ci pensate. Colui che si spaccia come quello che ha dato all’Italia le unioni civili rischia di passare alla storia come il responsabile dell’affossamento del ddl Zan. Vedremo poi cosa accadrà in Senato. Intanto sappiamo a chi dare la colpa.