di Luigi Di Maso
Per divertirsi e divertire serve coraggio, vero Mancio?
L’importante non è la caduta, ma l’atterraggio.
La caduta nel 2018 è stata bella rovinosa, ce lo ricordiamo ancora. L’atterraggio invece, sembrava uno schianto, ma è diventato clamorosamente un modo per chiudere un’epoca e mettere i primi mattoncini per una nuova.
Il termine epoca non è messo lì a caso. Quello a cui abbiamo assistito ieri è la chiusura del primo miniciclo di un Rinascimento Azzurro, come è stato definito a più riprese, che si è servito delle peculiarità dell’Umanesimo. Rifarsi ai grandi classici (della cultura sportiva italiana, la scuola dei difensori e il portiere più forte al mondo), per riscoprire una nuova bellezza (il gioco di posizione e la necessità di costruire molto per nascondere l’imprecisione in fase offensiva).
Dopo un anno davvero buio, un Medioevo sociale, abbiamo riscoperto una Nazionale che ha designato la bellezza come principio fondativo del suo Rinascimento.
“Io penso che ci sia stato solo un folle tre anni fa a dire che potevamo arrivare a questo punto ed è mister Mancini”. Con queste parole Federico Bernardeschi descriveva l’atmosfera post-partita contro la Spagna e anticipava una profezia ancora più profonda, quella della vittoria finale, sostenuta da Roberto Mancini sin dalla prima ora in cui si è insediato sulla panchina azzurra.
Mancini, con quella voglia di vincere negli occhi, per citare la canzone che ci ha accompagnato in ogni passo di questo mese, in effetti è stato un folle in tutto e per tutto. Sì, perché la leggenda della Sampdoria deve essersi per forza munito di un pizzico di follia positiva per pensare di ribaltare quasi tutta la prammatica a cui eravamo abituati nel calcio e nella nostra attitudine.
Mancini ha ribaltato la prassi scaramantica che accompagna ogni allenatore intento a spostare la pressione sull’avversario, con frasi tipo “Gli avversari sono favoriti”, oppure “Noi siamo qui per fare il nostro, ogni partita sarò una finale” eccetera. No, Mancini è stato chiaro da subito profetizzando almeno da tre anni la vittoria agli Europei.
Quando Euro 2020 fu rinviato ufficialmente a causa del Covid, il cittì ironizzò (o almeno in quel momento così sembrava), dicendo che così cambiava solo la data della vittoria dell’Italia, nel 2021 anziché 2020.
Il commissario tecnico e il suo staff sono poi andati oltre, ovvero decidendo da subito che andava cambiata l’attitudine di questa squadra. L’Italia avrebbe dovuto vincere dominando la sfida del possesso nelle partite e così è stato. Se follia o unica e paradossale soluzione, data la situazione trovata dal primo giorno da Mancini, questo è ancora difficile da stabilire.
L’Italia ha vinto e convinto, e non è assolutamente poco considerate le premesse: il suicidio sportivo del 2018 e un anno e mezzo di pandemia.
Confidare nella bellezza come mezzo per raggiungere un grande obiettivo, necessità di coraggio, così come dopo una certa età serve coraggio per divertirsi. Allora forse Mancini non è un folle, ma un coraggioso.