In carcere sono finiti anche i boss Girolamo Piromalli detto Mommino e Salvatore Copelli, il nipote del mammasantissima Giuseppe Piromalli. In totale, sono 21 le persone che risultano indagate dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Secondo il procuratore capo, in questa vicenda “emerge tutta la difficolta di fare impresa in questi territori con la consapevolezza di dover sottostare a dinamiche che non prevedono solo il pagare il pizzo, ma anche la regolamentazione della propria attività commerciale"
Il procuratore di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, non ha dubbi: “Quelle strade sono controllate dalla ‘ndrangheta. Loro vogliono dimostrare in maniera chiara e indiscutibile che i commercianti devono sottostare a questo sistema”. È il dato più inquietante emerso nell’operazione Geolja che stamattina ha portato all’arresto di 12 esponenti della cosca Piromalli. Le strade a cui fa riferimento il magistrato reggino sono quelle di Gioia Tauro, territorio dove i Piromalli decidono anche chi può respirare o no. Ai due imprenditori che avevano avviato il panificio ‘L’arte del pane’, infatti, dopo avergli incendiato l’esercizio commerciale, i boss della zona hanno imposto non solo il pizzo, ma anche il prezzo dei prodotti in vendita, l’orario di apertura del negozio e pure il periodo di ferie.
In carcere sono finiti i boss Girolamo Piromalli detto Mommino e Salvatore Copelli, il nipote del mammasantissima Giuseppe Piromalli, conosciuto con il soprannome di Facciazza e da poco scarcerato. Entrambi sono stati raggiunti dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Valerio Trovato su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, dell’aggiunto Gaetano Paci e del sostituto della Dda Giulia Pantano. I carabinieri hanno arrestato anche Francesco Copelli, Domenico Copelli, Antonio Gerace, Domenico Ragno, Domenico La Rosa, Vincenzo La Rosa, Antonino Plateroti e Rocco Molé.
Sono finiti, invece, agli arresti domiciliari Giuseppe Pesce e Rocco Giovinazzo. A questi ultimi, esponenti della cosca Pesce di Rosarno, si sono rivolti i titolari del panificio per “mettersi a posto” con la famiglia mafiosa di Gioia Tauro. In totale sono 21 gli indagati dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che, con l’operazione Geolja ha ricostruito gli assetti della ‘ndrangheta dopo le frizioni determinate dall’omicidio del boss Rocco e dopo le varie operazioni giudiziarie.
Tutto ha avuto inizio con l’incendio del panificio nella notte tra il 18 e il 19 agosto 2019. Le vittime avevano fatto richiesta di accesso a un fondo di solidarietà del Ministero dell’Interno per le aziende che sono state colpite da attentati dolosi. Ascoltando le loro conversazioni, i carabinieri hanno ricostruito l’estorsione imposta dai Piromalli: “Sono venuti con l’intenzione di distruggere perché noi non abbiamo capito circa dieci, quindici volte. Quando quello veniva per soldi, quello, quello là, faceva lo ‘sciacquino’ suo”. E ancora: “Io sai quando ho capito che sarebbe successo qualche cosa? Quando Nino Copelli non venne più!”.
Dopo essere stati costretti a chiudere l’attività commerciale per diversi mesi, sono stati autorizzati dalla ‘ndrangheta a riaprire il panificio subendo sia l’imposizione di prezzi, orari e periodi di ferie, in modo da non danneggiare l’attività concorrente dell’arrestato Antonio Gerace, oltre al pagamento del pizzo alla cosca.
Per il procuratore Bombardieri, “il dato preoccupante è la consapevolezza da parte degli imprenditori che, per avviare un esercizio commerciale, occorre la ‘messa a posto’”. Le intercettazioni gli danno ragione. Una delle vittime, infatti, parlando con la fidanzata le spiega come funzionano le cose a Gioia Tauro. E lo fa citando i dialoghi del film Il Camorrista: “Pagano tutti, un’offerta al Santo la fanno tutti quanti! L’offerta al Padre Eterno! Come il film il professore vesuviano, ogni mese passerà da voi un santo, e ognuno avrà il proprio Santo”.
Secondo il procuratore capo di Reggio Calabria, in questa vicenda “emerge tutta la difficolta di fare impresa in questi territori con la consapevolezza di dover sottostare a dinamiche che non prevedono solo il pagare il pizzo, ma anche la regolamentazione della propria attività commerciale. La richiesta estorsiva non era finalizzata solo al ritorno economico. Il controllo del territorio è molto più pericoloso, pervasivo e inquinante della sola richiesta del pizzo. In questo modo controllano l’economia”.
“I Piromalli rimangono la cosca di riferimento – sottolinea il procuratore aggiunto Gaetano Paci – Non c’è dubbio che il ruolo principale nella gestione della ‘ndrangheta sul territorio di Gioia Tauro spetti ai Piromalli. Questo è indiscutibile. L’inchiesta documenta l’asservimento degli imprenditori che operano sul territorio a ferree logiche mafiose. Gioia Tauro è un territorio che soggiace a una morsa strettissima da parte della storica cosca dei Piromalli. Abbiamo documentato attraverso questi episodi estorsivi una modalità mafiosa di gestione del mercato”.