L’opposizione del Vaticano a padre Pio fu feroce sia in vita che in morte. “Due volte nella polvere, due volte sull’altar”, si può affermare rubando ad Alessandro Manzoni ciò che scrive di Napoleone Bonaparte. Per due volte, infatti, prima sotto i pontificati di Benedetto XV e Pio XI e poi sotto quello di San Giovanni XXIII, il frate del Gargano fu perseguitato dall’ex Sant’Uffizio. Sospeso e successivamente riammesso in entrambi i casi, padre Pio non si oppose mai alle decisioni della Santa Sede e non incontrò mai nessun Papa, né mise mai piede in Vaticano.

In vita incontrò, però, un giovane sacerdote polacco, don Karol Wojtyla, arrivato apposta a San Giovanni Rotondo, nel 1948, per conoscere quel frate divenuto famoso in tutto il mondo. E al quale successivamente scrisse chiedendogli di pregare per la guarigione della sua storica amica Wanda Poltawska, che poi ricevette il miracolo tanto desiderato. Fu proprio San Giovanni Paolo II a beatificare prima, nel 1999, e a canonizzare poi, nel 2002, il cappuccino. Nel 2016, durante il Giubileo straordinario della misericordia, Papa Francesco ha voluto che il corpo di San Pio fosse esposto per un breve periodo nella Basilica Vaticana.

L’epilogo trionfante di una storia, quella tra il frate e la Curia romana, segnata da numerosi scontri e incomprensioni. Una pagina finora inedita di queste vicende viene offerta dal Diario spirituale (Edizioni Padre Pio da Pietrelcina) di monsignor Valentino Vailati, per venti anni, dal 1970 al 1990, arcivescovo di Manfredonia-Vieste. Il testo è stato curato da monsignor Domenico D’Ambrosio, arcivescovo emerito di Lecce, che fu arciprete di San Giovanni Rotondo negli anni di episcopato di Vailati e da lui accompagnato a Roma quando, il 6 gennaio 1990, venne ordinato vescovo da Wojtyla nella Basilica Vaticana.

Fu Vailati ad aprire e a chiudere la fase diocesana della causa di beatificazione e di canonizzazione di padre Pio, iniziata nel 1983 e terminata nel 1990. Ma purtroppo senza vederne l’esito perché morì nel 1998, un anno prima della sua proclamazione agli onori degli altari. Nel suo diario, però, ci sono molti dati interessanti in merito al rapporto tra il frate e la Santa Sede.

Il 20 marzo 1983 monsignor Vailati scrive: “In San Giovanni Rotondo, presenti otto vescovi, molti sacerdoti e religiosi, apro con rito solenne, il processo cognizionale su la vita e le virtù del servo di Dio, padre Pio da Pietrelcina, cappuccino. Nel 1961 (gennaio), trovandomi a Roma, prima dell’ordinazione episcopale, in Segreteria di Stato fui consigliato di non recarmi da San Severo a San Giovanni Rotondo per incontrare padre Pio, perché ogni visita di un vescovo veniva strumentalizzata dai giornalisti”.

“Io non conoscevo affatto – annota il presule – la situazione, né sapevo che l’anno precedente vi era stata una visita apostolica. Rispettai la disposizione della autorità superiore e quindi non ebbi nessuna conoscenza personale di padre Pio. Vedevo però che, durante gli anni del Concilio Vaticano II, sul treno rapido che periodicamente mi conduceva a Foggia, vi erano sempre alcuni vescovi, specialmente latino-americani che si recavano da padre Pio. Ora, Dei providentia, mi tocca essere responsabile e in prima linea, nell’investigare sopra la santità di quel frate. Mi confondo pensando alla mia miseria e mediocrità spirituale. Una gallina da cortile deve giudicare un’aquila!”

Nel suo diario, monsignor Vailati ricorda anche la genesi della storica visita di Wojtyla sul Gargano il 23 e il 24 maggio 1987. “Nell’udienza privata del 6 dicembre 1986, – scrive il presule – il Santo Padre mi espresse il suo desiderio di venire a pregare presso la tomba di padre Pio e nel santuario di San Michele in Monte. Mi chiese quali motivi si potevano addurre per giustificare il viaggio. Rispondo: a) il centenario della nascita di padre Pio; b) il prossimo 1500esimo anniversario delle apparizioni di San Michele sul Gargano. Risposta del Papa: va bene, preghiamo… Sarebbe una buona occasione”.

Quella visita fu il sigillo papale sulla santità della vita del frate. Il 13 febbraio 1990 si conclude il processo diocesano. “Consegno – scrive monsignor Vailati – alla Congregazione per le cause dei santi i numerosi volumi del processo cognizionale su padre Pio da Pietrelcina. Mi è costato sette anni di lavoro, per cui ho avuto una eccezionale conoscenza degli uomini (alti e bassi) della Chiesa. In mezzo a tante vicende rifulge il ‘santo’ ridotto all’essenziale sequela di Cristo: amore e passione. Penso che in paradiso padre Pio (e con lui gli altri canonizzati) riderà sul nostro gran lavoro per provare la sua santità, se io e gli altri del Tribunale ci fermiamo al ruolo di investigatori, di giudici. Tempo sprecato”.

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