Si può tornare ad una vita normale dopo aver vissuto lo spaventoso attentato terroristico che sconvolse Nizza la sera del 14 luglio 2016, alla Promenade des Anglais? No. Non inganniamoci, il tempo lenisce, non guarisce. La bestialità, la barbarie, il raccapriccio ti restano addosso. Cicatrice ostinata che non si rimargina. Anche la magnifica Prom’ rimessa a nuovo, pur maestosa ed affascinante, splendida cerniera tra il mare blu della Baia degli Angeli e i colori di “Nissa bella”, è ormai una cicatrice. Della memoria. Dell’illusione. Della vita che non è solo cartolina, ma è anche aspra, buia. Però.

Però si può, si deve ricominciare. Ricostruire. Ripartire. Senza dimenticare. Così, la Prom’ è tornata a vivere, dice il sindaco Christian Estrosi che visse le ore drammatiche dell’attentato, e che non ha più scordato il silenzio attonito dei nizzardi subito dopo la fine della corsa assassina di quel camion bianco, “nessuno gridava, nessuno aveva la forza di urlare, fu un silenzio terribile, avevamo scoperto l’orrore”. Un anno di lutto e di smarrimento morale. Poi, ha prevalso l’istinto di sopravvivenza. La storia dell’umanità è continuare a vivere. È reagire. Nonostante questi colpi di grazia. A Nizza, la volontà di riappropriarsi della vita si è palesata fisicamente nel rifacimento, in meglio (“continua ad evolversi”), della mitica Prom’. Cinque anni dopo l’attentato, è diventata non solo la magnifica passeggiata rituale di tutti, ma anche un luogo simbolico di speranza e di sfida.

E tuttavia, a livello individuale, non è un percorso così scontato. L’attualità di ieri pervade il tempo di oggi, immerso in un certo stato di disperazione permanente se sei sopravvissuto. Ad uscir fuori da questo tunnel in cui s’incrociano e s’intrecciano paura, angoscia, dolore e rabbia, ci sta provando, per esempio, il professore Fouad Zaim, insegnante della Paula-Fuerst Schule di Berlino che si trovava con i suoi studenti della quarta classe in gita scolastica a Nizza. Con la collega Saskia Schnabel decise di andare alla grande festa nazionale, per assistere alle sfilate e ai tradizionali fastosi fuochi artificiali: “Eravamo un bel gruppo affiatato, ci divertivamo, a fine vacanza noi docenti proponemmo di andare in centro. Fu piuttosto complicato, gli autobus erano zeppi di gente, io e molti degli studenti riuscimmo a pigliare l’ultimo”. Scesero alla fermata di avenue Gustave V. La professoressa Schnabel e alcune studentesse, invece, dovettero incamminarsi dal loro hotel, all’inizio della Promenade, verso l’aeroporto.

Alle 22 e 30, i due gruppi si mettono in contatto, per andare a cenare assieme da qualche parte. La professoressa Schnabel e quattro allieve sono all’altezza del ristorante Le Crocodile. Procedono a fatica, è difficile solcare la folla che ti viene incontro, sono 30mila le persone che sciamano lungo la Promenade. Melina, una delle quattro ragazze, si accorge all’improvviso che c’è un camion bianco, “puntava dritto sulla folla, e la gente veniva scaraventata per aria, sentivo urla da qualsiasi direzione, poi ho visto due fari abbaglianti, erano quelli del camion, stava maciullando un sacco di persone. Sarà stato un secondo. Mi è parsa un’ora. Dall’altra parte della strada c’era un ristorante, mi sono rifugiata lì. Da lì, ho visto solo cadaveri”.

Melina si salva. Non due sue compagne e la professoressa Schnabel. Anche Matilde si è salvata. Entrambe sono scampate senza subire danni fisici. Quelli mentali, invece, sono tremendi. Hanno cercato di elaborare la terribile esperienza ricorrendo al supporto psicoanalitico. Matilde ha perso Salma, la sua migliore amica. Aveva 18 anni.

Melina si sente incompresa, dice che solo chi era con lei a Nizza può davvero capirla. Fatica a concentrarsi. Non dorme: “Il tempo passa ma non mi aiuta”. Adesso è in terapia, a Berlino, dal professore Rainer Rothe, specializzato nei traumi provocati dal terrorismo: “Chi li subisce è spesso inerme, insicuro, disperato. Le vittime, poi, sono oggetto di politiche esclusivamente simboliche, che servono a poco quando si convive con la sofferenza e il dolore. Molte non riescono più a lavorare”. Rivivono quei momenti. Rivivono quelle situazioni se a stimolare ci sono odori, profumi, suoni che gliele rievocano. Per qualcuno capita venti, venticinque volte al giorno.

Soprattutto a chi ricorda la folle corsa assassina del camion guidato dal terrorista Mohamed Lahouaiej-Bouhlet, di origine tunisina e neojihadista: 86 persone uccise, quindici erano minorenni, il più giovane aveva due anni e mezzo. Quattrocento feriti. Trentamila persone nel panico. Una città sprofondata nel terrore. Il bilancio complessivo (ufficiale) è un bollettino di guerra: 2429 vittime dirette e indirette, di cui 1683 con pesanti traumi psichici. Ma c’è chi dice che sono il doppio, molti non hanno voluto rivolgersi alle autorità. Ancor oggi, all’ospedale di Lenval, quasi 300 ragazzini sono seguiti dagli psichiatri, cento di loro necessitano di sedute regolari: “Cinque anni dopo, abbiamo pazienti che subiscono incubi ricorrenti, veri e propri flashback dell’attentato” ha dichiarato all’agenzia Afp Florence Askenazy, la direttrice del servizio psichiatrico, “sono soprattutto studenti delle scuole primarie che sono stati testimoni di cose terribili, hanno visto gambe e braccia tranciati, teste schiacciate, sangue dappertutto, un macello”.

Amal è una compagna di Melina e Matilde. Era lì con loro. Pure lei vede piombarle addosso il camion. Tenta la fuga, verso il mare: “Poi, tutto è diventato nero”. Il camion l’ha colpita e trascinata via. Si risveglia in ospedale, viva per miracolo: ha la spina dorsale rotta, come un braccio, una spalla e una gamba. Ha i nervi spezzati e un trauma cranico. Non guarisce completamente. Un braccio riesce a muoverlo solo in parte. Continua ad assumere potenti oppiacei. Si è isolata da tutti. E da tutto. Chiede aiuto, assistenza adeguata, “ma non mi ascoltano”. Da quel giorno, ammette, “è come se qualcuno avesse messo in pausa la mia vita”. La madre Carolina cerca di aiutarla con tutti i mezzi a disposizione possibili, ora sta provando con l’ippoterapia, ma è un’impresa insormontabile a cominciare dalle procedure burocratiche, spesso assurde, “la nostra esistenza familiare è stravolta in modo irreparabile”. C’è un’ansia di fondo, “siamo sempre sul chi va là”. Amal è conscia della depressione: “Adesso non vivo. Esisto solamente. Cerco di sopravvivere. Cerco di ricreare un po’ per volta ciò che avevo. Eppure non ce la faccio”.

Il professore Zaim per anni non ha più avuto la forza di viaggiare, dopo la strage. Si è trasferito a Istanbul, ha cercato di scacciare qualsiasi cosa gli riportasse alla mente quei fatti. Poi, con una “decisione sofferta”, è andato a Berlino. La scuola ha posto una grande pietra con inciso i nomi (non i cognomi) delle tre vittime, le loro date di nascita e di morte, il luogo e il giorno della strage. Poi, è tornato in questi giorni sulla Promenade des Anglais, l’ha ripercorsa passo dopo passo “per chiudere il cerchio e mettere un punto fermo”. Sovrastato dalle emozioni, vedrà nel pomeriggio di questo mercoledì 14 luglio levarsi in volo 86 colombe bianche dai giardini della Villa Massena, dove si trova l’unico memoriale delle vittime. Un gesto antico, forse retorico. Forse no. Alle 22 e 34, l’ora del massacro, Zaim assisterà, come tutti i nizzardi, all’accensione di 86 luci laser blu puntate al cielo e verso la baia, per onorare i morti e per sperare nella solidarietà dei vivi.

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