Mafie

“C’è un filo unico che collega i delitti di Reina, Mattarella e La Torre”: ecco le verbale inedito di Giovanni Falcone all’Antimafia

In un documento top secret del 1990, desecretato dalla commissione di Palazzo San Macuto, il magistrato ucciso a Capaci parla dei delitti "politico-mafiosi" degli anni '80: "Sotto il profilo delle risultanze emergenti dalle indagini sul terrorismo nero, le modalità dell'omicidio Mattarella sono sicuramente compatibili; sotto il profilo della compatibilità fra l'omicidio mafioso affidato a personaggi che non avrebbero dovuto avere collegamenti con la mafia, è emersa una realtà interessante e inquietante". E parla di mandanti esterni a Cosa nostra

Giovanni Falcone era convinto che a uccidere Piersanti Mattarella fossero stati i terroristi neri. E che l’omicidio dell’allora presidente della Sicilia, fratello dell’attuale capo dello Stato, fosse collegato ad altri delitti eccellenti: quello del segretario della Dc a Palermo, Michele Reina, e quello del Partito comunista, Pio La Torre. In tre anni – tra il 1979 e il 1982 – viene eliminato un grosso pezzo di classe dirigente siciliana. È quello che emerge da un verbale reso dal magistrato ucciso a Capaci davanti alla commissione Antimafia il 22 giugno del 1990. Un documento finora rimasto top secret e desecratato solo oggi dall’organo di Palazzo San Macuto guidato da Nicola Morra.

La pista nera e i mandanti esterni – Il documento è lungo 117 pagine in cui si capiscono due cose: la difficoltà della classe politica dell’epoca a comprendere i fenomeni legati alla criminalità organizzata, l’estrema lucidità di Falcone nell’analizzare le stesse questioni. Anzi: si può dire che l’analisi del giudice palermitano sarebbe all’avanguardia anche oggi, trent’anni dopo quelle parole. Falcone, infatti, sembra aver intuito il gioco grande che si muove attorno ad alcuni dei più grandi misteri del paese. Sull’omicidio di Mattarella, per esempio, il giudice siciliano parla già di duplici mandanti: “Ci sono tutta una serie di riscontri che per brevità ometto, e che ci hanno portato a dover valutare il fatto che queste risultanze probatorie fossero conciliabili con una matrice e quindi con dei mandanti sicuramente all’interno della mafia, oltreché ad altri mandandi evidentemente esterni”. Falcone. sembra essere convinto della responsabilità di Giuseppe Valerio Fioravanti. Da quell’accusa l”ex terrorista nero sarà poi assolto in via definitiva, quando Falcone sarà già stato assassinato nella strage di Capaci. “Tutti i personaggi, quelli realmente importanti e senza i quali non sarebbe potuto avvenire un omicidio mafioso di quel calibro a Palermo, nella zona di Francesco Madonia (questo non lo dimentichiamo), nessuno di questi personaggi è stato riconosciuto, ma non nel senso che non è stato riconosciuto dalla vedova Mattarella, ma nel senso che ha sicuramente escluso che questi personaggi potessero essere coinvolti nell’esecuzione dell’omicidio”, spiega ai commissari di san Macuto, all’epoca in missione in Sicilia. Nessuno dei mafiosi che era stato indicato come l’assassino di Mattarella era stato riconosciuto dalla moglie della vittima, presente sul luogo dell’omicidio il 6 gennaio del 1980. “Questo è un dato di fatto assolutamente incontrovertibile. Per converso abbiamo dei riconoscimenti quasi certi nei confronti di questi imputati (oltre a Fioravanti, c’era Gilberto Cavallini). Ci troviamo di fronte a delle modalità operandi che sono molto simili, in alcuni casi addirittura identiche, a quelle di questi personaggi”. Parole che smentiscono quanto sostenuto nel gennaio dell’anno scorso dallo stesso Fioravanti: secondo l’ex Nar Falcone credeva nella sua innocenza. Il magistrato, putroppo, non ha potuto smentire a stretto giro. Ora però il verbale desecretato dall’Antimafia riporta le sue parole di trent’anni fa: “Sotto il profilo delle risultanze emergenti dalle indagini sul terrorismo nero, le modalità dell’omicidio Mattarella sono sicuramente compatibili; sotto il profilo della compatibilità fra l’omicidio mafioso affidato a personaggi che non avrebbero dovuto avere collegamenti con la mafia, è emersa una realtà interessante e inquietante. Il 1980 ha rappresentato il momento più acuto di quella crisi che sarebbe poi sfociata nella guerra di mafia: da un lato vi erano Bontade e Inzerillo (Badalamenti era stato già buttato fuori da Cosa Nostra) mentre dall’altro vi erano i corleonesi. Un dato è certo ed è stato confermato anche da Marino Mannoia recentemente: questo omicidio non avrebbe potuto essere consumato senza il benestare di Cosa nostra”.

“Se fosse stata la mafia a ucciderlo, i nomi dei killer si sarebbero saputi” – Ma perché i terroristi neri avrebbero dovuto assassinare il presidente della Sicilia? Perché Cosa nostra avrebbe dovuto ricorrere a esecutori esterni, pur potendo disporre di killer affidabilissimi? “Nell’omicidio Mattarella – è l’analisi di Falcone – vi era una concordia di fondo di tutta la commissione sull’eliminazione di questo personaggio, nel senso che non interessava a tutti più di tanto che rimanesse in vita; però nel momento più acuto della crisi, che poi sarebbe sfociata l’anno successivo in una guerra di mafia molto cruenta, ognuno aveva paura di fare il primo passo, e Stefano Bontade, per la parte che ci è stata riferita, aveva preferito stare alla finestra nel senso di disinteressarsi delle vicende di Cosa nostra per poter poi contestare dall’opposizione certe vicende all’interno dell’organizzazione. Se per l’omicidio Mattarella – e questo ci è stato ampiamente confermato da Buscetta – fossero stati utilizzati killers mafiosi, in due secondi chiunque all’interno di Cosa nostra avrebbe saputo chi aveva ordinato l’omicidio del presidente Mattarella”. Un dettaglio non secondario: ancora oggi i killer del fratello del presidente della Repubblica sono ignoti

“Un filo unico collega i delitti politici” – Ma perché Mattarella doveva morire? Falcone riporta quanto ipotizzato a suo tempo dal Rocco Chinnici, il suo capo a sua volta ucciso nel 1983 che gli aveva parlato “di una sua particolare ipotesi di lavoro (che comunque non mi aveva mai esplicitato), secondo cui aveva compreso tutto ciò che stava accadendo. Devo dire che si trattava di un’ ipotesi tutt’altro che peregrina. Si sarebbe trattato, cioè, di omicidi eccellenti che sono in un certo modo arrarentemente scaglionati nel tempo, ma che in realtà si inseriscono in vicende di dinamiche anche interne alla mafia e che possano restringersi in un ben individuato arco di tempo che va dal 1978 (omicidio di Michele Reina) al 3 settembre 1982 (omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa), anche se il delitto Dalla Chiesa sarebbe più orrortuno, alla luce delle nostre indagini, tenerlo fuori da questa dinamica, poiché l’omicidio più importante, che si inquadra in un determinato contesto dovrebbe essere, secondo me, quello di Pio La Torre“. A questo proposito Falcone spiega di credere “all’esistenza di un filo unico che si snoda dall’omicidio Rejna fino a quello La Torre, in tutta questa serie di omicidi, chiamiamoli politico-mafiosi, anche se ovviamente ogni omicidio ha e non può non avere una sua specifica causale”. Tra le vicende raccontate dal magistrato all’Antimafia anche un racconto del famoso pentito Francesco Marino Mannoia: “Mi ha riferito – purtroppo non posso essere più preciso – di aver avuto un incontro con un uomo politico di rilievo, e Stefano Bontade gli avrebbe detto che se quel personaggio non si fosse comportato così come egli avrebbe preteso, sarebbe toccato a lui ucciderlo”. A quel punto interviene il presidente Gerardo Chiaromonte: “Vorrei che questo colloqui si interrompesse, perché non vogliamo prendere il posto del giudice Falcone -Dio ce ne guardi – nell’istruttoria per l’assassinio di Piersanti Mattarella”.