Le auto immatricolate a partire dal 2035 saranno a emissioni zero, il settore pubblico dovrà rinnovare il 3% dei suoi edifici ogni anno, sale al 40% l’obiettivo delle rinnovabili dietro cui si cela il nodo delle biomasse e della tutela delle foreste. E mentre saranno soggetti all’Ets anche nuovi settori, bisognerà attendere il 2035 per l’addio definitivo alle quote gratis per quelli che tuttora ne beneficiano. Per i quali entra però in gioco in concreto dal 2026 la tutela della Carbon border tax, la nuova tassa sui beni importati da Paesi con standard ambientali più permissivi. È il caso di dire ‘luci e ombre’ sulle proposte presentate dalla Commissione Ue e che fanno parte del pacchetto ‘Fit for 55’ composto da 13 iniziative legislative (otto delle quali sono revisioni di meccanismi e modifiche di direttive già esistenti) che ora dovrà essere negoziato e terrà impegnati Consiglio Ue ed Europarlamento per un paio di anni. Potrebbero cambiare molti aspetti della vita dei cittadini europei. Dall’auto che acquisteremo, al modo in cui riscalderemo le nostre case. Tutto per ridurre entro il 2030 le emissioni del 55% rispetto al 1990 per poi raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, come detta la nuova legge europea sul clima. Occorre cambiare rotta rispetto al vecchio target del 40%. Si tratta del più grande sforzo legislativo mai fatto ma, soprattutto in alcuni settori, i cambiamenti (sempre che non vengano ritoccati) non saranno certo immediati. Eppure è stato lo stesso vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, a ricordare che “non c’è tempo da perdere” dato che “la gente muore nel nord-ovest del Canada” a causa delle alte temperature. E, soprattutto, questi cambiamenti costeranno. Per attutire il colpo alcuni paracadute: oltre alla Carbon border tax a tutela delle imprese, un Fondo sociale da circa 10 miliardi di euro l’anno, diretto al 20% più economicamente vulnerabile dei cittadini europei.
ETS, COSA CAMBIA – L’elemento centrale del cambiamento è la revisione dell’Emissions Trading System (Sistema di scambio delle emissioni, ETS), che fissa un tetto alla CO2 totale che può essere emessa e impone a chi lo fa di acquistare tante quote quante sono le tonnellate di CO2 emesse. Avrebbe dovuto rendere più costose le emissioni, ma i grandi inquinatori hanno a disposizione una serie di scorciatoie, come la distribuzione gratuita di quote ad alcune industrie, tanto cara alle lobby e tanto combattuta dalle ong. Si agirà su più fronti: da un lato saranno soggetti all’Ets altri settori oggi esclusi (aviazione e marittimo) e dall’altro le quote gratuite dovrebbero sparire (molto) gradualmente. E se oggi l’Ets fissa un prezzo di circa 50 euro a tonnellata di anidride carbonica emessa (contro i 20 di un anno fa), la Commissione Ue stima che entro il 2030 si arriverà a 90 euro. Questo nei settori già soggetti al sistema di scambio: energia elettrica e industria ad alta intensità energetica (circa 10mila impianti in tutto) e aviazione commerciale all’interno dello Spazio economico europeo.
TAGLIO ALLE EMISSIONI – Stando alla proposta, tutti i settori dell’Ets (aviazione e marittimo compresi) dovranno abbattere le emissioni del 61% (e non più del 43%, vecchio target) entro il 2030 rispetto al livello del 2005. La Commissione propone una riduzione annuale delle emissioni più consistente, del 4,2% rispetto all’attuale 2,2%, dopo una riduzione una tantum del tetto complessivo delle quote di 117 miliardi. Ma verrà creato anche un Ets separato (operativo dal 2025) che include trasporto stradale su gomma ed edifici residenziali per i quali, però, il taglio delle emissioni dovrà essere del 43% al 2030. Oggi i settori coperti dall’Ets rappresentano il 40% delle emissioni di gas serra dell’Ue, mentre un altro 60% è coperto dal regolamento sulla condivisione dello sforzo (anche quello in revisione), che riguarda le emissioni provenienti da trasporti, agricoltura, edifici e rifiuti. In questi settori, gli obiettivi nazionali per la riduzione delle emissioni dovranno aumentare dall’attuale 29% ad almeno il 40%, rispetto ai livelli del 2005. L’obiettivo per l’Italia aumenta dal 33% al 43,7%. A differenza del precedente regolamento, che vedeva alcuni paesi con target a zero, la Commissione europea propone che tutti gli Stati membri contribuiscano al raggiungimento dell’obiettivo a livello dell’Unione con tagli compresi tra il 10% e il 50% rispetto alle emissioni del 2005. Per Legambiente è insufficiente: “Per contribuire a centrare l’obiettivo di 1.5°C” i settori attualmente coperti dall’Ets “devono conseguire riduzioni delle emissioni pari almeno al 70%, mentre quelli disciplinati dal Regolamento sulla ripartizione degli sforzi nazionali devono ridurle di almeno il 50% rispetto al 2005”.
QUOTE GRATUITE FINO AL 2035 – L’altro fronte su cui agire sono le quote gratis. Dal 1990 ad oggi le emissioni nel settore dell’aviazione sono aumentate del 130%, mentre la Corte dei Conti Ue ci dice che i settori responsabili del 94% dell’inquinamento da manifattura ricevono quei diritti gratuitamente. A pagare sono quasi solo gli impianti di produzione di energia, mentre oltre il 90% di tutte le emissioni provenienti da settori come acciaio, cemento e chimica sono coperte da quote di emissione gratuite a cui le lobby fanno fatica a rinunciare. Bruxelles propone di eliminarle gradualmente, intanto per l’aviazione. Verranno ridotte alle grandi imprese che non seguono le raccomandazioni degli audit energetici, anche se il campo di applicazione viene esteso all’idrogeno. Inizialmente indicato come “idrogeno verde”, il pacchetto lascia poi la porta aperta “anche alle altre tecnologie a basso contenuto di carbonio”. Ma soprattutto, le quote gratuite saranno gradualmente eliminate per i settori a cui va incontro il nuovo Carbon border adjustment mechanism (CBAM), meglio noto come Carbon border tax, la nuova tassa sui beni importati da paesi con standard ambientali più permissivi fortemente voluta dalla Francia. La protezione della tassa rappresenta una sorta di ‘compensazione’ che non dovrebbe aggiungersi a quella delle quote gratis, ma la verità è che l’eliminazione completa di queste ultime si realizzerà solo nel 2035.
I PARACADUTE – Il Cbam, dunque, è un primo paracadute offerto, con cui si vuole disincentivare il ‘carbon leakage’, il trasferimento delle emissioni di CO2 da Stati con legislazioni restrittive sul piano ambientale a Stati con norme più permissive. L’obiettivo è tutelare anche dalla concorrenza sleale (in particolare dei cinesi) le imprese europee che sostengono dei costi per ridurre le emissioni, evitando che si trasferiscano oltre i confini dell’Unione. La tassa si applicherà inizialmente a cemento, ferro e acciaio, alluminio, fertilizzanti ed elettricità. Nella fase di transizione (dal 2023 al 2025) gli importatori dovranno riferire il livello di emissioni contenuto nelle merci importate, ma senza pagare un corrispettivo monetario, cosa che accadrà dal 2026. L’altro paracadute è il Fondo sociale Ue per il clima con cui si vuole evitare che i costi della transizione ecologica ricadano sulle fasce deboli della popolazione. Dovrebbe sostenere i redditi, per ridurre le bollette e le piccole imprese e sarà finanziato per il 25% dei proventi del nuovo sistema di scambio: 72,2 miliardi di euro tra il 2025 e il 2032 con cui l’Ue potrebbe cofinanziare al 50% regimi di incentivazione nazionale per l’acquisto di auto a zero emissioni e la riqualificazione energetica degli edifici.
ADDIO ALLE AUTO A BENZINA E DIESEL – Ad oggi il 20,4% delle emissioni Ue arrivano proprio dal trasporto su strada. Ora si punta a ridurre le emissioni medie delle auto nuove del 55% (del 50% per i furgoni) entro il 2030 e del 100% per entrambi entro il 2035, rispetto ai livelli del 2021. Stando alla proposta, nell’Ue dal 2035 verranno immatricolate solo auto nuove a zero emissioni (quindi auto elettriche ricaricabili o alimentate a idrogeno con tecnologia delle celle a combustibile). Jorgo Riss, direttore di Greenpeace Ue, cita proprio il caso delle auto, quando sottolinea che “molte delle politiche presentate non entreranno in vigore prima di dieci anni o più”. La Commissione Ue propone di obbligare gli Stati membri a espandere la capacità di ricarica per le auto elettriche in linea con le vendite delle vetture e installare sulle principali autostrade stazioni di ricarica elettrica ogni 60 chilometri e stazioni di rifornimento per l’idrogeno ogni 150 chilometri. William Todts, direttore della Ong Transport & Environment, ha definito questo step “un punto di svolta per l’industria automobilistica e una buona notizia per gli automobilisti”, ma se “le nuove regole dell’Ue democratizzeranno le auto elettriche e daranno un forte impulso alla ricarica”, Todts sottolinea che “le case automobilistiche dovranno iniziare a vendere auto più pulite solo nel 2030” ossia fra nove anni.
TASSAZIONE ED EFFICIENZA ENERGETICA – L’attuale direttiva sulla tassazione energetica, vecchia di vent’anni, incentiva i combustibili fossili. Passare dalla tassazione dell’energia basata sui volumi a una basata sul contenuto energetico dei combustibili è l’obiettivo della proposta. In una simulazione effettuata da Bruxelles con il nuovo sistema, da applicare gradualmente dal 2023, la tassazione minima sulla benzina passerebbe da 0,359 a 0,385 centesimi al litro, quella sul gasolio da 0,330 a 0,419 centesimi al litro. Per contro, le imposte minime sull’elettricità caleranno da un euro a Megawatt/ora a 58 centesimi. Sul fronte dell’efficienza energetica, invece, il piano sul clima vuole imporre agli stati membri di ristrutturare, ogni anno, almeno il 3% della superficie degli edifici pubblici. Un obiettivo legato a quello sulle rinnovabili, in quando occorrerà aumentare, da qui al 2013, di circa l’1% all’anno l’impiego di energie pulite per il raffreddamento e il raffrescamento. Complessivamente, le rinnovabili dovranno coprire il 49% del fabbisogno degli edifici entro il 2030.
LA DIRETTIVA SULLE RINNOVABILI, VERSO LA RED III – Nel 2018 l’Ue aveva fissato un obiettivo del 32% per le energie rinnovabili nel mix europeo entro il 2030, rispetto all’attuale 20% circa. La Commissione vuole raddoppiare questa percentuale entro il 2030, fissando un target di produzione di energia da fonti rinnovabili del 40% entro il 2030. Tutti gli Stati membri contribuiranno allo sforzo: obiettivi specifici, come visto, sono proposti nei trasporti, nel riscaldamento, nel condizionamento dell’aria, nell’edilizia e nell’industria. “L’aumento del target Ue per le rinnovabili è più che benvenuto ma – commenta Eleonora Evi, europarlamentare e co-portavoce di Europa Verde – oltre a non essere vincolante per gli Stati membri, non ci porterà all’economia alimentata al 100% da rinnovabili a cui potremmo ambire già nel 2040, uno scenario tecnologicamente ed economicamente possibile e ampiamente fattibile”.
BIOMASSE, FORESTE E SUOLO – Ma il punto ‘caldo’ sono le biomasse, con le ong che esprimono preoccupazione per l’impatto ambientale dell’aumento della produzione di biomassa e la decisione “di etichettare l’utilizzo di risorse forestali come energia rinnovabile” sottolinea Greenpeace, che proprio nelle ultime ore aveva lanciato l’allarme sull’utilizzo di biomassa legnosa (legna e pellet) già causa di distruzione e degrado delle foreste europee. Tre miliardi di alberi verranno piantati nell’Ue di qui al 2030. Il regolamento sull’uso della terra, le foreste e l’agricoltura fissa anche un obiettivo complessivo per l’Ue di cattura di CO2 mediante i ‘carbon sinks’, i depositi di carbonio naturali, a un livello equivalente a 310 milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica entro il 2030. Saranno fissati obiettivi nazionali, che richiederanno agli Stati di espandere i loro depositi naturali di carbonio. Entro il 2035, l’Ue dovrà raggiungere la neutralità in termini di emissioni nell’uso del terreno, nelle foreste e nell’agricoltura, includendo anche le emissioni agricole diverse dalla CO2, come quelle prodotte dai fertilizzanti e dal bestiame.