Il tema più divisivo in assoluto nella politica italiana è, senza ombra di dubbio, quello della giustizia. Troppi gli interessi che esso muove; troppo interessate le risposte che il nostro Legislatore è sempre intenzionato a dare. Esse, però, rispondono a tutt’altre finalità rispetto a quelle che il tema dovrebbe perseguire.

Così in questi giorni si assiste a pietosi spettacoli dei partiti politici, specialmente quelli nel governo delle “larghe intese”, tutti intenti ad accanirsi sul tema della prescrizione, come se fosse questo l’unico e il vero problema della giustizia, peraltro pensando soltanto a quella penale, in Italia. Invece quella è verosimilmente una preoccupazione esclusiva di certa politica, anzi di certi parlamentari inquisiti dal sistema giudiziario.

Per fortuna la Commissione Europea ha riportato al centro del dibattito il vero nodo gordiano della macchina della giustizia in Italia. La durata dei procedimenti non è legata a qualche istituto processuale più o meno efficace. E’ legato in modo fondamentale alle risorse umane e materiali che essi gestiscono.

Non si può non rimanere colpiti dalla lettura di quanto riportato da ilfattoquotidiano.it l’8 luglio scorso.

Nella relazione trasmessa dal Commissario per la Giustizia, Didier Reynders, sono snocciolati in modo chiarissimo i dati che rendono del tutto inefficiente il sistema italiano.

Essi sono due, in realtà riducibile ad uno: la carenza cronica del numero di magistrati, assolutamente esiguo rispetto alla massa di affari civili, penali e amministrativi per abitante che il relativo scoreboard evidenzia (12 per ogni 100.000 abitanti, a fronte, ad esempio, dei 24 della Germania, per non parlare dei 42 della Slovenia). Da decenni, pur a fronte di un esponenziale aumento di conflittualità, le piante organiche sono rimaste immodificate.

Non solo: a fronte di poche migliaia di magistrati presenti nei vari distretti giudiziari l’altro dato evidente è l’incapacità ministeriale di avere saputo regolamentare le piante organiche, ossia la distribuzione di magistrati sul territorio in relazione agli affari da trattare.

Così esistono Tribunali nei quali un magistrato risulta assegnatario di cento, massimo duecento, procedimenti all’anno (e di pari sopravvenienze); altri, molti dei quali concentrati in uffici medio-piccoli del Meridione, in cui ogni giudice o pubblico ministero deve fronteggiare migliaia di procedimenti all’anno (ed altrettanti in subentro annualmente).

Questo è il vero dramma della giustizia: la mancanza di volontà del governo (perché alla politica spetta questo onere, che potrebbe diventare un onore!) di volere fornire minimo ossigeno ad un organismo in coma per ipossia.

Ecco la prima, vera, unica, fondamentale, “rivoluzionaria”, priorità da suggerire alla neoministra Marta Cartabia: se vuole davvero provvedere ad una riforma epocale della Giustizia, assuma migliaia di magistrati (almeno altri 10.000), prevedendo anche un numero doppio rispetto ad esso di personale amministrativo (per costituire l’ufficio per il processo per ciascun magistrato) e redistribuisca le piante organiche secondo accreditati e spendibili flussi statistici (quelli che annualmente assillano tutti i dirigenti degli uffici, che devono barcamenarsi in improbabili documenti organizzativi generali per fare fronte ad una domanda che inevitabilmente è sproporzionata rispetto all’offerta).

La preghiera che rivolgo, da magistrato, alla ministra è quello di poter adeguatamente studiare e rivedere completamente un assetto distributivo dei magistrati, e del personale amministrativo, del tutto sperequato tra distretti, anche viciniori, se non all’interno delle medesime Corti d’Appello.

Il tutto accompagnato da un massiccio investimento nella logistica, nell’hardware e nel software necessario per informatizzare e digitalizzare una struttura preistorica e antiquata. Questa sarebbe la migliore risposta da dare all’Europa, “che ce lo chiede” da decenni, rimanendo inascoltata.

Un’altra notazione negativa che il report del Commissario Europeo evidenzia è, infine, il tasso di indipendenza che l’Ordine giudiziario ha raggiunto nella percezione pubblica.

Esso è ai minimi storici. Siamo al quintultimo posto, dopo Bulgaria, Polonia, Slovacchia e Ungheria, Paesi verso i quali abbiamo lanciato, fino a pochi mesi fa, appelli internazionali per invocare maggiore indipendenza dei magistrati di quelle nazioni e dei loro organismi di autogoverno, oltre che manifestare solidarietà ai colleghi.

Davvero paradossale, dunque, visto che dovrebbero essere gli altri Paesi dell’Ue, oggi, a dover muovere qualche passo in nostro favore.

Il prospetto riepilogativo del Commissario Europeo evidenzia anche alcune delle ragioni più diffuse dell’offuscamento dell’immagine della Magistratura: una è la “interferenza e pressione dal governo e dalla politica”. Si tratta del determinante profilo della indipendenza esterna: la sussistenza di un indebito collateralismo tra politici e magistrati, unitamente alla forza che la Politica, con la complicità dei gruppi associativi interni dell’Anm, riesce ad imprimere all’attività di autogoverno, sono un’evidenza pluriennale indiscutibile e deleteria.

Necessario appare spezzare ogni legame tra Politica e Giustizia, non soltanto avuto riguardo alle porte girevoli nelle rispettive carriere, quanto soprattutto nell’evitare che partiti politici e loro rappresentanti possano avvicinare componenti rappresentative dei magistrati e loro esponenti all’interno delle istituzioni e barattare con loro incarichi e prebende, e talvolta persino interferire sul regolare andamento della giurisdizione, “politicizzando” persino l’esercizio dell’azione penale.

Vi è un altro fattore indicato dal report eurounitario in discussione: più del 40% degli intervistati ritiene che un altro elemento che appanna la credibilità della magistratura italiana sia l’interferenza dei poteri economici e di altri specifici interessi. Tra di essi sono certo che gli interpellati dalla Commissione Europea abbiano segnalato lo strapotere dei gruppi associativi interni all’associazionismo giudiziario, le cosiddette correnti.

E’ l’altro lato della medaglia della indipendenza della magistratura: quella interna, oggi più che mai intaccata dalle vicende che hanno generato la più grave crisi della Magistratura repubblicana in Italia.

Anche sui questo versante è necessario che la ministra Cartabia ed il governo agiscano con efficacia ed immediatamente con l’unico metodo davvero rivoluzionario, capace di restituire credibilità e fiducia nell’autogoverno: il sorteggio come metodo di scelta della componente togata del Consiglio Superiore della Magistratura e la rotazione negli incarichi direttivi, per tagliare le unghia al “nominificio” lottizzatorio, denudato dagli scandali a ripetizione.

Ci vuole coraggio per una vera riforma della Giustizia. Questo è il tempo di dimostrarlo. Altrimenti si rischia di apparire conniventi, se non complici, con le degenerazioni che attanagliano il mondo giudiziario. A quel punto, per chi è estraneo al cosiddetto “sistema”, resterà solo la denuncia alle Istituzioni d’oltralpe.

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