L'ultima operazione della Dds di Palermo - dieci arresti per associazione mafiosa - aggiunge un nuovo tassello alla trentennale latitanza di Matteo Messina Denaro confermando il forte legame tra la Sicilia e gli Stati Uniti. Anche da New York, risulta dalle carte, gli "scappati" continuavano a pesare sulle dinamiche di potere di Torretta, paesino di 4mila abitanti nel Palermitano
L’ultima operazione dei Carabinieri di Palermo – dieci arresti per associazione mafiosa – aggiunge un nuovo tassello alla trentennale latitanza di Matteo Messina Denaro confermando il forte legame tra la Sicilia e gli Stati Uniti. Anche da New York, risulta dalle carte, gli “scappati” continuavano a pesare sulle dinamiche di potere di Torretta, paesino di 4mila abitanti nel Palermitano. Nelle 445 pagine con cui il gip Filippo Serio ha ordinato gli arresti emergono alcuni particolari su come “Iddu”, cioè Matteo Messina Denaro, comunicava nonostante la latitanza. Un aspetto quasi marginale dell’operazione, che però aggiunge un nuovo tassello alla latitanza del boss più ricercato.
L’indagine ha svelato i frequenti rapporti tra la Sicilia e gli Usa, tra Cosa nostra siciliana e quella degli “scappati”, come vengono chiamati gli affiliati trasferiti in America dopo la sconfitta nella guerra di mafia da parte dei corleonesi di Totò Riina: tra loro spiccano gli Inzerillo, famiglia che dominava nel quartiere palermitano di Passo di Rigano e che, fuggita negli Usa, mantiene da lì ancora forti legami con la Sicilia, con quel quartiere e con Torretta. Quest’ultimo è un paesino nell’entroterra palermitano dove la mafia, perfino da oltreoceano, riusciva a condizionare le elezioni: lì si è concentrata l’operazione dei Carabinieri coordinati dal procuratore aggiunto di Palermo Salvatore De Luca e dai sostituti Amelia Luise e Giovanni Antoci. “È emerso un fortissimo legame tra gli Usa e Torretta, tra Cosa nostra in Sicilia e negli States: ma attenzione, esiste una sola Cosa nostra che qui e lì risponde alle stesse regole e agli stessi rapporti di potere”, spiega il colonnello Mauro Carrozzo, comandante del Reparto operativo di Palermo.
Un episodio in particolare rappresenta la sintesi di questi legami. È registrato dai Carabinieri alle 14 del 27 settembre del 2018, quando arrivano all’aeroporto di Palermo Ernest Grillo, la figlia Casey Grillo e Anna Kosmider. Ad attenderli, all’aeroporto Falcone e Borsellino ci sono Natale Puglisi, uno dei dieci arrestati, Paolo Vassallo, indagato, e Angela Carollo, cognata di Puglisi. Attendono gli americani per portarli in una villa con piscina in fondo Anfossi, una zona di lussuose ville alle porte di Mondello. Quella in cui staranno i Grillo è intestata a Mario Fecarotta, arrestato il 13 giugno del 2002 nel procedimento a carico di Totò Riina e altri 23. Ad attenderli, in nome della proverbiale ospitalità sicula, anche cinque grammi di cocaina procurata da Puglisi. Ma chi è Ernest Grillo? Il New York Times lo definisce soldier dei Gambino, la notissima famiglia mafiosa di New York. Il quotidiano americano racconta anche che il boss dei Gambino John Gotti, morto nel 2002, confidava al figlio Peter di essere il padre naturale di Meagan Grillo, all’epoca diciannovenne, figlia di Shannon Connelly e dell’allora marito Ernest Grillo. Nel 2008 Ernest veniva arrestato negli Usa nell’operazione Old Bridge, un blitz che coinvolgeva anche Frank Calì, conosciuto come “Franky Boy”, il reggente fino alla sua morte nel 2019 per conto dei Gambino. Ernie non è in Sicilia in vacanza: il 2 ottobre è accompagnato a Torretta dove incontrerà Raffaele Di Maggio, considerato capo mandamento di Torretta assieme a Ignazio Mannino e Simone Zito.
Per questo Grillo da New York parte per Torretta. Ma a mantenere un fortissimo legame con gli States ci sono soprattutto gli Zito. Simone e il figlio Calogero Christian vivono tra i due mondi, viaggiando con intensità tra un continente e l’altro, perfino incontrandosi a Milano in una coincidenza, mentre uno torna in Sicilia e l’altro a New York. D’altronde Simone Zito, considerato uno dei reggenti di Torretta, nel 1988 negli Usa rimane coinvolto nell’operazione Iron Tower, che svela un traffico internazionale di eroina e cocaina tra la Sicilia e gli Stati Uniti. Da una conversazione captata il 10 gennaio 2018 tra Giuseppe Spatola e Benedetto Gabriele Militello si apprendeva che Simone Zito aveva assunto un ruolo di rilevo nella famiglia mafiosa di Torretta, in ossequio ai desiderata dei sodali trasferitisi da tempo negli Usa (“cristiani grandi”) che “continuavano ad esercitare la loro influenza sulle dinamiche interne dell’articolazione locale di Torretta”, scrive il gip. I continui viaggi servono anche a portare i soldi attraverso carte di credito nascoste addosso ai familiari che viaggiano con loro.
A testimonianza dei forti rapporti tra i due mondi anche le reazioni alla morte di “Franky Boy”, ucciso la sera del 13 marzo 2019 davanti alla propria abitazione di Staten Island, New York. L’omicidio del reggente di New York agita i torrettesi: Natale Puglisi pochi giorni dopo andrà nella Grande mela per accertarsi di persona che non sia l’inizio di un’escalation di violenza. Non lo era, il boss di New York era stato ucciso per motivi personali da un killer estraneo a Cosa Nostra. Anche le elezioni di Torretta non sono lasciate al caso: i candidati sono spalleggiati, il vincitore dev’essere Salvatore Gambino. “Cerco voti – Me le fai quattro telefonate dall’America? Se ha perso lui abbiamo perso tutti”, così Calogero Badalamenti si rivolge a Calogero Zito. I voti sono a favore di Salvatore Gambino, ex giovane Udc, poi nel Pdr di Totò Cardinale, candidato nel giugno del 2018, poi eletto sindaco per la seconda volta e indagato nell’operazione.
Dalla quale emerge anche la figura di Lorenzo Di Maggio, detto Lorenzino, ritenuto uomo d’onore della famiglia di Torretta che rientra nel mandamento di Passo di Rigano. “Ho sempre saputo della sua affiliazione perché me lo hanno riferito i miei zii Giovan Battista e Vincenzo Pipitone, che lo conoscevano praticamente da sempre. Un’affiliazione che risale con certezza agli anni ’99-2000“. Così riferisce, dopo il suo arresto nel 2017, il collaboratore Antonino Pipitone. Che ne disegna il profilo mafioso: “Di Maggio ha curato, in via quasi esclusiva, i rapporti di comunicazione – mediante biglietti e pizzini – tra gli affiliati di Cosa nostra e Salvatore Lo Piccolo durante la latitanza di quest’ultimo… I miei zii mi hanno riferito che, proprio per il carisma criminale e l’affidabilità che aveva, Lorenzo Di Maggio aveva incontrato più volte anche Bernardo Provenzano nel corso degli anni 2000, nei momenti in cui quest’ultimo – durante la sua latitanza – la trascorreva alcuni periodi proprio nella zona di Torretta”.
Ed è proprio Di Maggio che diventa anche il messaggero di Iddu: “La stessa cosa è sostanzialmente avvenuta anche per il latitante Matteo Messina Denaro”, ha raccontato Pipitone. “Gran parte dei pizzini, sia dei territori di Carini e Torretta, sia delle famiglie dei mandamenti di Palermo, che erano diretti al latitante Messina Denaro arrivavano sempre a Lorenzo Di Maggio. Questi pizzini gli venivano consegnati o presso la sede dell’Amat (l’azienda di trasporto pubblico palermitana, ndr), dove Di Maggio lavorava come impiegato, oppure a casa della madre, di cui ho già parlato. I pizzini diretti a Messina Denaro venivano poi consegnati da Di Maggio a Calogero Caruso, il quale – da quello che mi è stato riferito – a sua volta li consegnava a Campobello di Mazara, utilizzando per questa attività la macchina del Comune di Torretta, dove Caruso all’epoca lavorava. Questa circostanza mi è stata anche confermata dallo stesso Caruso durante un periodo di comune detenzione”.