Cinema

Cannes 2021, il giorno di Marco Bellocchio: Palma d’onore e il suo documentario ‘Marx può aspettare’

Si tratta di un film/documento di straordinaria stratificazione perché accanto alla vicenda privata della famiglia Bellocchio apre a riflessioni sul senso del fare cinema, sulla Storia italiana, sull’incedere del Tempo e sui suoi effetti sulla memoria. Certamente per il regista de I pugni in tasca è anche l’occasione di ripercorrere la propria filmografia alla luce, però, del filo conduttore scelto, ovvero la tragedia di Camillo Bellocchio, il fratello gemello del cineasta, morto suicida a soli 29 anni

“Fare il massimo nei propri limiti, forse è l’unica cosa che conta nell’arte come nella vita. Io ci sto provando”. È un Marco Bellocchio in grande forma e quasi ringiovanito quello incontrato oggi 15 luglio al Festival di Cannes dove domani lo attendono due “impegni” di estrema rilevanza: da una parte la celebrazione della Palma d’Onore – premio rarissimo del festival, deliberato solo a pochi cineasti nel corso degli anni – e dall’altra la presentazione al pubblico mondiale del suo nuovo lavoro, il personalissimo documentario Marx può aspettare, da oggi nelle sale italiane grazie a 01 Distribution.

“Sono due cose unite dalla generosità di Frémaux ad accoglierle qui insieme, ma anche molto distinte per me, per il tipo di sentimenti che mi genera”, ha sottolineato il regista. “La premiazione sarà una fatica perché non è nelle mie corde mostrarmi celebrato alle platee; certo sono contento, ma non lo considero un premio che mi ripaga, in realtà non mi ripaga di niente, qui a Cannes ho già avuto grandi soddisfazioni a Cannes, nel breve discorso che farà sul palco ricorderò il grande Michel Piccoli che con Anouk Aimée ottenne nel 1980 doppia palma per l’interpretazione con Il salto nel vuoto, anche grazie alla battaglia di Gian Luigi Rondi che era in giuria. Rispetto al film, invece, sono in ansia perché incuriosito dal come la platea internazionale lo recepirà, perché è del tutto inimmaginabile portare a Cannes un film così piccolo e personale”.

E se è vero che Marx può aspettare possa connotarsi come film “personale” – anzi famiglia-biografico – è giusto dissentire dal collocarlo tra le opere minori, “piccole”, come Bellocchio stesso lo defisse. In realtà si tratta di un film/documento di straordinaria stratificazione perché accanto alla vicenda privata della famiglia Bellocchio apre a riflessioni sul senso del fare cinema, sulla Storia italiana, sull’incedere del Tempo e sui suoi effetti sulla memoria. Certamente per il regista de I pugni in tasca è anche l’occasione di ripercorrere la propria filmografia alla luce, però, del filo conduttore scelto, ovvero la tragedia di Camillo Bellocchio, il fratello gemello del cineasta, morto suicida a soli 29 anni.

“Questo è un film che sentivo molto profondamente dentro di me, era l’ultima occasione per fare i conti con qualcosa che in fondo era stato nascosto e censurato. Non volevo fare qualcosa di nostalgico su ciò che restava della sua famiglia, per questo abbiamo individuato subito il suo protagonista, che era in absentia, il mio gemello Camillo”, rileva Bellocchio. “Nel corso della carriera ci sono sempre stati riferimenti a lui, in particolare con Gli occhi, la bocca, ma di quel film non sono mai stato soddisfatto: prima di tutto era ancora in vita mia madre, e in secondo luogo c’era l’impegno politico che mi impediva di dire tutta la verità”. Oggi, invece, mi sento finalmente libero, quasi alleggerito, anche capace di fare dello spirito. Sono emerse cose meravigliose e inedite, tipo mia sorella Letizia sordomuta che non aveva mai parlato: ha dimostrato uno spirito tipicamente bellocchiano pure mantenendo salda la propria fede in Dio”.

Affresco intimo, profondo e universale per la stratificazione sopra indicata, Marx può aspettare nasce da una frase che lo stesso Camillo disse a Marco quando questi lo intimava a dedicarsi alla militanza politica per risolvere i suoi tormenti interiori. “Non l’avevo capito. Come neppure gli altri miei fratelli, il resto della famiglia. Ma io, che ne sono il gemello, sento ancor più grave questa responsabilità di distrazione, anzi, di vera e propria assenza. Ecco perché Marx deve aspettare è il mio film più privato nel quale però mi sono sentito molto libero, benché non assolto. Si tratta di qualcosa di molto comune, comunque, che di fronte a certe tragedie che scatenano incredulità in chi pensava di conoscere gli assassini. Ecco, noi no avevano intuito la tragedia che sottostava la vita normale di mio fratello Camillo”. E il “regista penitente” Marco Bellocchio si offre, con straordinaria valenza simbolica, proprio ai suoi figli quali “giudici /testimoni” deputati all’ascolto della sua confessione. È commovente vederlo parlare del proprio passato con Elena e Piergiorgio che lo ascoltano, ne recepiscono la pena, un vero “ viaggio nel presente che scava nel passato remoto. La memoria – confessa Bellocchio – ha fatto riemergere una serie di frammenti attraverso i quali ho compreso che questa tragedia ha percorso l’intera mia vita. In questo film entra il mio voler fare cinema in un certo modo, anche il mio carattere, dopo tanti anni di rabbia e iconoclastia”.

Potente fra diversi momenti potenti del documentario, il cui titolo originale doveva essere L’urlo ma poi è mutato nel più soft Marx deve aspettare, è anche il riemergere della lettera che Camillo aveva scritto a Marco implorandolo a farlo entrare nell’industria cinematografica, a lavorare con lui: “Quello è un momento drammaturgicamente fondamentale – ricorda Bellocchio. “Da quella conversazione con mio fratello Alberto esce questa lettera, di fatto quella lettera l’ho trascurata, dimostrando di non vedere né sentire l’altro. Ha fatto dunque un grande gesto a me e al mio gemello Thierry Frémaux invitando il film; nella sua lettera d’invito mi ha scritto – ‘Raccontando la storia di tuo fratello che voleva fare il cinema, con questo film l’hai consacrato nella Storia del cinema’”