Prima erano arrivati i messaggi non troppo velati, poi questi si erano tradotti in veri e propri avvertimenti, ultimatum. Adesso che da Budapest e Varsavia non sono arrivate le necessarie rassicurazioni sul rispetto dei diritti umani, la Commissione europea è passata dalle parole ai fatti aprendo una procedura d’infrazione nei confronti di Polonia e Ungheria per violazione dello stato di diritto in tema di diritti Lgbtqi.
Per quanto riguarda il governo guidato da Viktor Orban, al centro dello scontro c’è la contestatissima legge anti-Lgbt che, tra le altre cose, proibisce rappresentazioni e contenuti sull’orientamento sessuale ai minori. Una legge, quella voluta dall’esecutivo e appoggiata dal Parlamento di Budapest, che Orban ha detto essere stata pensata per “proteggere i bambini e i loro genitori”. In realtà, i contenuti discriminatori del testo hanno provocato la reazione di diverse cancellerie europee, con alcune, come ad esempio quella dei Paesi Bassi o del Portogallo, che sono arrivate a dire che “non c’è posto per questa Ungheria in Europa”.
Per quanto riguarda la Polonia, invece, come spiegato nei giorni scorsi dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, sotto osservazione sono finite le cosiddette Lgbt free zone, aree delle città polacche nelle quali è stato eliminato qualsiasi riferimento ai diritti gender e all’interno delle quali è praticamente impossibile l’accesso e la vita di persone Lgbtqi.
I due Paesi hanno ora due mesi di tempo per dare le dovute spiegazioni e correggere il tiro, in caso contrario la Commissione Ue potrà emettere un parere motivato e poi deferirli alla Corte di giustizia europea. “Il 23 giugno 2021 – si legge nella nota con cui la Commissione ha spiegato la decisione al governo di Budapest – l’Ungheria ha pubblicato una legge che prevede una serie di misure restrittive e discriminatorie. In particolare, vieta o limita l’accesso a contenuti che diffondano o ritraggano la cosiddetta ‘divergenza dall’identità personale corrispondente al sesso alla nascita, al cambio di sesso o all’omosessualità per le persone di età inferiore ai 18 anni. In questo caso l’Ungheria non ha spiegato perché l’esposizione dei bambini a contenuti Lgbtqi in quanto tale sarebbe dannosa per il loro benessere o non è in linea con l’interesse superiore del bambino”. Tra i punti rilevati nella lettera di messa in mora che potrebbero essere in contrasto con il diritto comunitario figurano la violazione della direttiva sui servizi di media audiovisivi, “poiché l’Ungheria ha posto in essere restrizioni ingiustificate che discriminano le persone in base al loro orientamento sessuale e sono inoltre sproporzionati”, e la direttiva sul commercio elettronico, in quanto la legge ungherese vieta la fornitura di servizi che mostrano diversi orientamenti sessuali. Si rilevano, poi, tutta una serie di violazioni, sulla limitazione dei servizi della società dell’informazione transfrontalieri agli obblighi sulla trasparenza del mercato unico, alla libera prestazione di servizi e sulla libera circolazione delle merci.
La Commissione ritiene che in questi campi che rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Ue, le disposizioni ungheresi violino anche la dignità umana, la libertà di espressione e di informazione, il diritto al rispetto della vita privata nonché il diritto alla non discriminazione. Vi è poi la questione dell’obbligo di disclaimer (ossia di svincolo di responsabilità) da parte degli editori per la pubblicazione di contenuti in merito a una divergenza dai “ruoli di genere tradizionali”. Un obbligo che, sostiene l’esecutivo Ue, limita la libertà di espressione degli autori e degli editori di libri e discrimina per motivi di orientamento sessuale in modo ingiustificato.
Alla Polonia, invece, viene contestato l’aver adottato in alcune regioni e comuni del Paese risoluzioni sulla creazione delle cosiddette ‘zone libere dall’ideologia Lgbt’, che violano il diritto dell’Ue in materia di non discriminazione per motivi di orientamento sessuale. “Nonostante un chiaro invito della Commissione a febbraio, fino ad oggi le autorità polacche non hanno fornito le informazioni richieste, omettendo manifestamente di rispondere alla maggior parte delle richieste”. A marzo, per rispondere indirettamente all’iniziativa polacca, il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione per proclamare l’Unione europea zona di libertà per le persone Lgbtqi.