Il sapiens contemporaneo è stato a lungo abituato a riflettersi davanti a uno specchio deforme, che ritornava un immagine di sé per nulla corrispondente alla sua essenza naturalistica e a quella spirituale (anche se per distinguere le stesse la parola andrebbe lasciata ai filosofi), entrambe imprigionate nel modello di un uomo di plastica e cartone che pareva quello più idoneo a governare la società dei consumi. Anche se in verità ne era governato.
La pandemia del nuovo millennio ha infranto questo specchio di illusioni, impedendo all’uomo di ritrovarsi a tu per tu con quel rassicurante surrogato di sé a cui si era, nel tempo, abituato.
E allora il sapiens, spogliato del rassicurante approdo del suo riflesso, ha finito per trovare rifugio nella sua ombra, in compagnia dei fantasmi di mai sopite paure e proprio dentro questa selva oscura ha ritrovato parole che aveva rimosso dal suo sempre più povero vocabolario. La fragilità, ad esempio.
Concetto quasi rimosso dalla società del consumo per la scarsa rilevanza dei soggetti fragili all’interno di quel percorso discendente di uomo-consumatore-prodotto che il capitalismo, nella sua dimensione egoica, prevede come normale sviluppo della condizione umana.
E allora i genitori che invecchiano, gli amici sfibrati da più o meno prevedibili inciampi di salute, sono tornati a riprendere un autonomo spazio dentro le esistenze di ciascuno, nuovo specchio riflesso della sensazione di fragilità che ciascuno ha attraversato di fronte all’abisso di paura e reclusione che la pandemia ci ha posto innanzi.
E allora la sorte di questa moltitudine di invisibili è diventata argomento di comune sentire, tanto da orientare le scelte della politica in una dimensione concreta e non solo nelle vuote dichiarazioni programmatiche a cui ci si era nel tempo abituati.
Una riscoperta tardiva ma necessaria, anzi benedetta (nel senso più laico del termine), in ordine alla necessità di costruire risposte condivise ai bisogni di una quota crescente di popolazione fragile, tenuto anche conto delle drammatiche statistiche anagrafiche del nostro Paese.
E questa nuova consapevolezza ha trovato immediata traduzione in un programma vaccinale che ha posto i fragili al vertice della piramide dell’intervento, consentendo oggi di raggiungere la quasi totale immunizzazione tra i soggetti ospiti delle strutture residenziali e una larga maggioranza di vaccinati anche tra gli ultra sessantacinquenni non ricoverati.
Proprio partendo dalla lezione amara della pandemia la politica, ma più generale tutti gli attori del sistema paese, hanno oggi la possibilità di iniziare a ripensare agli strumenti che l’ordinamento aveva individuato quale risposta ai bisogni di tutela dei fragili, magari ipotizzando modelli collettivi di presa in carico.
In questa direzione potrebbe, ad esempio, trovare nuova valorizzazione la figura dell’amministratore di sostegno (introdotta dalla legge 6/2004 con il fine di superare la tradizione dicotomia tutela/curatela), il cui intervento non dovrebbe più limitarsi a quella generica presa in carico amministrativo-finanziaria dei soggetti più deboli ma piuttosto diventare il fulcro di una rete di protezione che ricomprenda la famiglia del tutelato, ma anche gli attori pubblici e privati (medicina del territorio, servizi sociali etc) chiamati, nelle rispettive sfere di competenza, ad assumere decisioni condivise che garantiscano la salute del soggetto fragile nella sua accezione più ampia, ovvero quello stato di totale benessere fisico, mentale e sociale non limitato solo all’assenza di malattie o infermità, nei termini da tempo affermati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Nel contesto di un generale ripensamento degli strumenti di tutela, meriterebbe anche di essere approfondita la compatibilità costituzionale della misura per c.d. iconica della contenzione degli anziani nelle strutture residenziali e in quelle sanitarie, che andrebbe ricondotta alla sua natura più propriamente sanitaria, quale extrema ratio a fronte della necessità di immediata garanzia del bene salute dell’interessato o di terzi o non quale (illegittimo) strumento di natura assistenziale che trova la sua origine nella scarsità delle risorse umane destinate alla cura degli anziani ricoverati.
In sintesi, si tratta di ribaltare il paradigma della tutela della fragilità attraverso l’illusoria idea della separazione del soggetto dal contesto sociale per affermare l’idea di una presa in carico inclusiva, basata sull’idea di una responsabilità collettiva e solidale.
di Marco Ubezio, avvocato esperto in materia amministrativa e socio sanitaria. Ha pubblicato libri in materia di responsabilità medica e sulla contenzione.