Un regalino all’industria delle armi, nello specifico attraverso l’Agenzia industrie difesa (Aid), contenuto nel dl Sostegni, che ha ottenuto il voto di fiducia alla Camera. Nelle pieghe del provvedimento, diventato il tipico decreto omnibus in cui è stato inserito un po’ di tutto, c’è infatti un emendamento presentato in commissione Bilancio alla Camera dalla Lega, a prima firma di Roberto Paolo Ferrari, e approvato dalla maggioranza. Cosa prevede il testo? L’esenzione dell’Agenzia dall’obbligo di varie licenze necessarie per “la raccolta, la detenzione e la vendita di armi da guerra e di armi ad esse analoghe nazionali o straniere”, come recita il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (Tulps).
L’intervento concede la possibilità di possedere “munizioni, uniformi militari o altri oggetti destinati all’armamento e all’equipaggiamento di forze armate nazionali o straniere”. Un emendamento che, introdotto nel capitolo della sanità militare, dà mano libera all’Agenzia, guidata dall’ex senatore del Pd Nicola Latorre, già dalemiano, poi convertito al renzismo, infine lontano dalle posizioni dell’ex Rottamatore e adesso al vertice dell’organismo su indicazione del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini. Il compito dell’Aid è, secondo quanto si legge sul sito ufficiale, “il rafforzamento del proprio ruolo come fornitore privilegiato del Ministero della Difesa e la creazione di sbocchi sul mercato concorrenziale con la produzione attuale o anche di nuova concezione, avvalendosi degli alti standard di qualità, frutto dello stretto rapporto con la Difesa”. Così il Sostegni bis allenta qualsiasi laccio all’Aid, concedendo anche la possibilità di tenere in “deposito, vendere o trasportare dinamite e prodotti affini negli effetti esplosivi, fulminati, picrati, artifici contenenti miscele detonanti, ovvero elementi solidi e liquidi destinati alla composizione di esplosivi nel momento dell’impiego”. Al di là dei tecnicismi, è chiaro di cosa si tratti. Infine, bypassando l’autorizzazione prefettizia, l’Agenzia può “tenere in deposito, vendere o trasportare polveri piriche o qualsiasi altro esplosivo diverso da quelli indicati nell’articolo precedente, compresi i fuochi artificiali e i prodotti affini, ovvero materie e sostanze atte alla composizione o fabbricazione di prodotti esplodenti”. Una serie di concessioni che ha sollevato proteste.
La ragione è spiegata a ilfattoquotidiano.it da Francesco Vignarca, coordinatore della Rete italiana pace e disarmo. “Per fare un esempio, l’Agenzia può prendere un vecchio carro armato, riconvertirlo e venderlo, senza richiedere le apposite autorizzazioni e certificato per produzione”. Più in generale, Vignarca osserva: “Casi recenti di autorizzazioni e licenze dimostrano la fragilità dell’applicazione delle norme, i cui principi invece sono chiari e di alto standard. E dunque è fondamentale che il Parlamento continui a occuparsi approfonditamente della questione e richieda un esame dettagliato di tutte le operazioni di esportazione di qualsiasi natura”. La questione è stata sollevata anche in Parlamento, durante l’iter del decreto. “Siamo in stato di guerra o si ha intenzione di entrarci?”, attacca Raffaele Trano, deputato de L’Alternativa c’è, che ha criticato il contenuto dell’emendamento leghista. “Si tratta di una deregolamentazione preoccupante – aggiunge Trano – aggravata da uno stato di necessità economica che nel campo della produzione delle armi non si vede”. Così il parlamentare insiste su un punto: “Qual è la ratio di questa norma introdotta nel Sostegni bis?”.
L’emendamento è stato contestato sotto il profilo dell’opportunità tecnica e politica da Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal). “Ancora una volta sono le aziende e le agenzie a controllo statale le più refrattarie ad accettare le norme dello Stato sulla produzione ed esportazione di armamenti. Ciò dimostra che il complesso militare-industriale è pervasivo, invasivo ed è pienamente attivo anche nel nostro Paese”, afferma. Beretta insiste: “Viste le pressioni esercitate in questi mesi sulle autorità di controllo dell’esportazione di armamenti anche da parte dei massimi rappresentanti istituzionali del settore della Difesa, è venuto il momento che anche in Italia si apra un ampio dibattito sulle influenze di questi ambienti sui nostri processi democratici”.