Con il ritiro militare delle truppe alleate dall’Afghanistan si è aperta una nuova discussione sul futuro della nazione definita da tempo un “buco nero”. I Taliban potrebbero tornare al potere senza enormi difficoltà oppure passando per una guerra civile, molto più probabile. Di sicuro Joe Biden vuole lasciare la questione afghana in mano agli stessi afghani, o ad attori geopoliticamente rilevanti in quell’area come il Pakistan ma soprattutto la Cina, affinché quest’ultima possa cadere nella stessa trappola in cui sono caduti prima i sovietici e poi gli stessi americani con una guerra durata più di 20 anni.

In merito al Pakistan c’è da dire che il supporto ai Taliban non è soltanto politico, con buona parte dei servizi segreti pakistani schierati pro Taliban, ma anche culturale e religioso, perché diversi esponenti di spicco del gruppo, come il Mufti Noor Wali Mehsud, vivono in Pakistan. Proprio Wali Mehsud ha sviluppato contatti con gruppi separatisti baluci nel Baluchistan sudoccidentale e gruppi nazionalisti sindhi coinvolti in attacchi alle forze di sicurezza e alle installazioni militari pakistane.

Wali Mehsud ha lavorato per rafforzare il Ttp (Tehrik-e-Taliban in Pakistan) riunendo le fazioni scontente del gruppo e interconnettendo la sua rete con altre organizzazioni islamiste ed etniche impegnate nella militanza contro lo stato pakistano. La sua politica di riconciliazione ha attirato anche una fazione dei talebani punjabi, che hanno giurato fedeltà a Wali Mehsud.

Dall’altra parte la Cina, con Pechino preoccupata del confine tra Afghanistan, Pakistan e Xinjiang sia per le dinamiche connesse alla presenza di realtà jihadiste sia per le rotte della Bri (Belt and Road Initiative), il mega-progetto che intende rivitalizzare l’antica Via della Seta, che si snoda via terra e via mare dall’Asia all’Europa. Di sicuro qualunque configurazione di governo emergerà in Afghanistan bisogna capire se rappresenterà in futuro una minaccia per gli Stati Uniti. Questo è l’interrogativo che si è posto Biden.

Quindi la questione non è tanto se i Taliban prenderanno il potere o meno, ma piuttosto in quale forma e se si comporteranno come un attore canaglia. Se ad esempio i Taliban non daranno un porto sicuro ai terroristi, allora gli Stati Uniti potrebbero non essere così preoccupati. Sui campi di battaglia i Taliban avanzano intanto ovunque, spesso senza incontrare resistenza. In diverse aree del sud e dell’est, intere guarnigioni governative si sono arrese consegnando armi ed equipaggiamenti. Oltre 1000 soldati afgani sono fuggiti all’avanzata dei Taliban attraversando il confine con il Tagikistan, il cui governo ha ordinato la mobilitazione di 20mila riservisti militari per rafforzare il confine con l’Afghanistan.

La fuga dei militari di fronte ai Taliban e la resa incondizionata di intere guarnigioni confermano quanto falsa fosse la propaganda diffusa per anni da Nato e Stati Uniti circa le capacità raggiunte dai militari afghani addestrati dagli occidentali a combattere da soli gli insorti. Ad Herat ad esempio anche il personale italiano è stato impiegato, presso l’unità multinazionale Train Advise Assist Command West, a svolgere attività di addestramento, assistenza e consulenza a favore delle istituzioni e delle forze di sicurezza locali concentrate nella regione Ovest del Paese. Il risultato, però, dinanzi alle offensive dei Taliban è stato poco incisivo. Gli unici a rimanere in Afghanistan saranno i turchi impegnati a garantire la sicurezza dall’aeroporto internazionale di Kabul dopo il ritiro degli Stati Uniti.

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