Gettare il cuore oltre l’ostacolo e andare a riprenderselo. Così è sempre stato per Nicola Rivelli, napoletano di Posillipo, uomo dall’ingegno multidirezionale. Da enfant ribelle a imprenditore edile, poi parlamentare con Forza Italia. Volta le spalle al partito e nel 2008 si trasferisce a Pechino dove inizia il suo percorso artistico, impastando bronzo, ceramica e resina. Espone al 798 Beijiing Art Zone, il più importante distretto di Arte Contemporanea dove installa Work in progress, un mammasantisssimo di 7 metri, che rappresenta Cristo in croce.

Nel 2009 l’Università di Pechino gli affida un corso di scultura e partecipa alla fiera dell’arte contemporanea Shanghai in Art. Nel 2010, in occasione degli XI Giochi olimpici nazionali cinesi crea altra opera in bronzo colossale di milleduecento chili, Tajshan Kid, collocata all’esterno dello stadio della città di Jinan ne diventa simbolo. La Cina gli dedica un francobollo e intanto lui scrive un ironico pamphetino “Passaporto per la Cina”, una raccolta di 100 illustrazioni ispirate al galateo, usanze e tradizioni secondo Confucio. Diventa l’artista italiano più famoso in Cina e le sue opere sono esposte al Art Museum di Pechino.

Ha antenati illustri. Dal lato materno c’è Edwin Smith, l’egittologo statunitense, che ha dato il nome al papiro che costituisce il più antico trattato di medicina giunto ai tempi nostri. Mentre L’architetto Michele Platania è stato uno dei massimi esponenti del Liberty.
Ispirandosi alla antica “Scuola di Posilippo realizza “Napoli Regina” per il Museo Filangieri: sessantacinque tele ad olio, che offrono una lunga veduta di Napoli vista dal mare.

Adesso ha messo in scena nella antiche grotte scavate nel tufo della villa di famiglia, pied dans l’eau, un’installazione di proiettili cosmici che dirompono in vasi/anfore in terracotta e bronzo. Per la potenza dei suoi “Cosmic Bullets” i critici lo paragonano Igor Mitoray.
Nella pescaia entra l’acqua e anche la schiuma del mare interagisce con l’opera e la rende ancora più spettacolare. L’ha divisa in Due Atti: sul Primo si alza il sipario al Pan, Il Museo delle Arti e al Museo Archeologico, il Secondo trova nelle caverne il suo palcoscenico naturale.
Il Terzo Atto della storytelling esperienziale sarà a Pechino.

Dalle sculture ciclopiche riveliate al Pupo di Zucchero, la Festa dei morti, di Emma Dante, in prima assoluta all’Anfiteatro antico per la Rassegna Pompeii Theatrum Mundi (direttore artistico Roberto Andò). Liberamente ispirato a “Lo conto de li conti” ( Traduciamo Il Racconto dei Racconti) del cantastorie seicentesco Giambattista Basile.

Ogni evento emmadantesco fa parlare di sé. Chi la ama, chi non, comunque fa discutere. Per lei Basile è il suo Shakespeare. E lo interpreta alla sua maniera. Provocatrice, dissacrante, metaforica dove Napoli incontra Palermo. I pupi fatti di zucchero sono offerte votive per i morti perché al Sud il rapporto con il car estinto rimane sempre vitale, non è un tabù. Il due novembre si lascia la porta aperta per farli entrare. Eccoli in scena i fantasmi di famiglia ( la mammina dal core tremolante, il padre disperso in mare, le sorelle rimaste zitelle…) per onorarli, per ingraziarseli. E l’unico sopravvissuto è Il vecchio che impasta l’esca per i pesci de lo cielo. E’ vivo ma finisce con il morire di una morte interiore che si chiama solitudine..
E la stanza arredata dai ricordi diventa una sala da ballo dove i morti festeggiano la vita.
Prossima tappa il Festival d’Avignone.

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