Con Spike Lee presidente di giuria tutto è possibile. Per questo il classico Toto Palma applicato al Festival di Cannes edizione 74 fa sorridere, se non peggio. Leader carismatico by definition, il regista afro-americano potrà decidere in (quasi) totale libertà se non sorprenderci, ovvero sfogare il proprio sostegno al cinema di militanza/denuncia, oppure se spiazzarci del tutto attribuendo la Palma d’oro a un’opera totalmente “altra” dal proprio modo di fare e sentire il cinema. È ammessa anche qualche via di mezzo, per esempio andare a compromesso con gli altri membri della giuria internazionale composta da Mati Diop, attrice e regista (Francia), Mylène Farmer, cantautrice (Francia), Maggie Gyllenhaal, attrice (Stati Uniti d’America), Jessica Hausner, regista (Austria), Mélanie Laurent, attrice (Francia), Kleber Mendonça Filho, regista (Brasile), Tahar Rahim, attore (Francia, Algeria) e Song Kang-ho, attore (Corea del Sud). Oppure far scegliere un premio a ciascuno membro, e tenere per sé la decisione della Palma. Ed in ogni caso entreremmo nei meravigliosi misteri dei metodi così uguali e diversi di ogni sovrana giuria festivaliera.
Per sgomberare la scacchiera da troppe pedine, conviene semplificarla alle prime due opzioni.
Spike Lee decide di non sorprenderci. In tal caso il bouquet dei papabili nel Palmares (se non al massimo premio senza passare dal via..) sono il film “inno” all’hiphop Casablanca Beats del marocchino Nabil Ayouch, seguito dal militante femminista Lingui, The Sacred Bonds del regista del Ciad, Mahmat-Saleh Haroun, a anche l’israeliano Navad Lapid col suo Ha’Berech “anti-sionista”, e perché no il “gotico-conventuale-LGBT” Benedetta di Paul Verhoeven fino al musical Annette di Leos Carax che ha aperto la kermesse. Potrebbe anche apprezzare il cinico France di Bruno Dumont e l’horror/fantascientifico di nostalgia family Titane di Julia Ducournau.
Spike Lee decide di sorprenderci. Abbracciando questa opzione potrebbe incappare nella scelta in uno (o magari premiarli tutti con riconoscimenti diversi..) dei tre migliori film visti in concorso quest’anno. In primis, e quasi senza rivali a nostro giudizio, è il giapponese Drive My Car di Ryusuke Hamaguchi: un’opera mastodontica per lunghezza (3 ore) e densità di rivelazioni cinematografiche, espressive e tematiche. Che si avvale, non per ultimo, del testo d’ispirazione scritto dal grande Murakami. Un gradino sottostante, ma comunque di estremo valore, sono a pari merito. A Hero del già Palma d’oro e due volte Oscar Asghar Farhadi, un cineasta garantista di qualità e personalità, e Memoria del tailandese Apitchapong Weerasethakul, anche lui in passato già insignito della Palma d’oro.
Difficile che il mitico Spike possa favorire Tre piani di Nanni Moretti, a meno che il film non abbia colpito alcuni giurati per le interpretazioni, specie di Margherita Buy. Anche se quest’anno la nostra splendida attrice si trova a fare i conti con attrici/ruoli strepitosi, a partire dalla troppo presente (e paradossalmente assente per Covid) Léa Seydoux in France insieme alla conterranea Agathe Rousselle, sorprendente creatura trans-bionica di Titane. E con loro potrebbe giocarsela anche la sempre perfetta Tilda Swinton, corpo contemplativo e da contemplare di Memoria. Quanto alle interpretazioni maschili la rosa è più aperta e inclusiva. Di certo con 7 film “totalmente” francesi a competere fra loro – praticamente un record – e quasi tutti gli altri di coproduzione d’Oltralpe, almeno un paio di premi dovrebbero rimanere in patria: c’est la vie, pas de surprise!