Sul terreno rimangono le attrezzature ormai dismesse, i resti di basi e accampamenti che per 20 anni hanno accolto e protetto i militari della coalizione occidentale dagli attacchi delle milizie Taliban e dei gruppi terroristici locali. Si sente ancora il rumore dei mezzi blindati e degli elicotteri americani caricati sugli aerei, in un ritiro ormai prossimo alla conclusione. Ma mentre i militari stranieri sono ancora impegnati nel piano di evacuazione, l’Afghanistan sta per ripiombare, per l’ennesima volta nella sua storia recente, in una guerra civile che promette nuove vittime e allontana la speranza di una stabilità in cui mai, in questi 20 anni di conflitto, si è realmente creduto. Una guerra civile che Claudio Bertolotti, direttore di START InSight, ricercatore associato Ispi nonché autore di Afghanistan contemporaneo. Dentro la guerra più lunga, a Ilfattoquotidiano.it ha definito ormai “inevitabile”.

L’intelligence americana, citata da alcuni organi di stampa, aveva calcolato che il governo di Kabul guidato da Ashraf Ghani sarebbe stato in grado di sopravvivere alla pressione Taliban, che tutto hanno fatto tranne che favorire la tregua dopo gli accordi di Doha con gli Stati Uniti e i tentati colloqui con l’esecutivo afghano in carica, per circa sei mesi. Qualche mese fa sembrava una previsione infausta, ma oggi appare ormai eccessivamente ottimistica: ad oggi i Taliban controllano 204 distretti contro i 73 del 1 maggio, inoltre sono 210 quelli contestati, contro 124, e 70 quelli in mano al governo (erano 115). In due mesi, quindi, l’esecutivo afghano ha perso il controllo effettivo del 30% del territorio, mentre i Taliban hanno triplicato quello da loro occupato, ottenendo il controllo effettivo del 50% del Paese, che sale all’85% se si considerano i territori contesi, all’interno dei quali l’esercito governativo non è in grado di garantire i minimi standard di sicurezza.

Numeri impressionanti che raccontano un’avanzata senza sosta. E le conferme arrivano anche dalle ormai quotidiane conquiste degli Studenti coranici sul campo di battaglia. Il 6 luglio scorso, un’offensiva Taliban ha costretto oltre mille militari di Kabul a sconfinare in Tagikistan per evitare di essere massacrati dai miliziani. Una settimana fa c’è stato il ritorno degli uomini del mullah Hibatullah Akhundzada a Kandahar, mentre anche Herat, città che nel corso della guerra ha vissuto meno di altre l’influenza del gruppo estremista e che fino a due settimane fa ospitava i soldati italiani di stanza in Afghanistan, è ormai sotto assedio. Conquiste, queste, portate a casa senza farsi scrupoli, come racconta un video diffuso dalla Cnn in cui si vede un gruppo di militari governativi arrendersi e venire giustiziati a sangue freddo dai combattenti islamisti. Immagini che, però, i portavoce Taliban hanno definito false in una comunicazione Whatsapp con Ilfattoquotidiano.it e altre testate internazionali.

Ma se la sconfitta dell’esercito regolare sembra inevitabile, a cambiare le sorti del conflitto è arrivata la decisione del governo di chiedere l’aiuto dei signori della guerra afghani, i vecchi mujaheddin che, fucile in spalla e ben armati e finanziati dagli Stati Uniti, respinsero l’avanzata dell’Armata Rossa Sovietica negli Anni 80. Oggi, quei comandanti mujaheddin si sono trasformati in gran parte in detentori di poteri territoriali alimentati dalla corruzione, altri hanno trovato posto tra le fila dei governi che si sono succeduti. “Che saremmo arrivati a questo punto lo si poteva intuire già quando l’ex presidente americano, Barack Obama, parlò di ‘transizione irreversibile’, dando di fatto il via al ritiro delle truppe dal Paese, da una guerra ormai percepita come persa e sempre meno giustificabile agli occhi dei contribuenti americani – spiega Bertolotti – Già in quegli anni partì immediatamente la mobilitazione dell’ex Alleanza del Nord che iniziò a riarmarsi, tanto da provocare un’impennata dei prezzi delle armi nel mercato nero. Tra i primi a richiamare le truppe, composte soprattutto dai figli e i parenti degli ex mujaheddin deceduti nel conflitto contro i sovietici, è stato Mohammad Ismail Khan, il signore di Herat, ma presto lo hanno seguito altre importanti figure come Ahmad Zia Massoud, ex vicepresidente e fratello di Ahmad Shah Massud, il famoso Leone del Panshir, e il tagiko Atta Mohammed Noor“. L’altro nome di spicco è quello di Abdul Rashid Dostum, oggi vicepresidente ma che, come spiega Bertolotti, “ricopre ancora un ruolo di grande influenza tra la popolazione e i combattenti di etnia uzbeka. Anche lui farà la sua parte”.

La loro potenza militare, unita a quella delle forze governative, può essere in grado di arginare l’avanzata dei Taliban, ma a fare la differenza sarà il sostegno esterno alle varie fazioni sul campo, col rischio di veder iniziare un nuovo conflitto per procura che potrebbe trasformarsi in guerra di logoramento. Da una parte, infatti, c’è da capire il ruolo che ricoprirà il grande attore dietro al successo talebano, il Pakistan: “Avere profondità strategica in Afghanistan è sempre stata una priorità per Islamabad che così ha sempre sostenuto i Taliban afghani – dice Bertolotti – Ma oggi si ravvisa una perdita di controllo, una minore dipendenza dei miliziani che, come sono soliti ripetere, cercano di limitare al minimo indispensabile le ingerenze esterne nel loro Paese. Dall’altra parte ci sono il governo, che godrà comunque del sostegno e dell’assistenza americana, e l’Alleanza del Nord che può ambire a ricevere supporto sia dagli americani che dai russi, ma anche dall’Iran, che conserva comunque solidi rapporti anche con i Taliban, e dalla Cina, che eviterà un coinvolgimento diretto a causa della questione uigura, ma che punta a instaurare una collaborazione proficua con entrambi gli schieramenti per garantirsi la possibilità di operare nel Paese, dove detiene l’80% dei diritti estrattivi totali. Inoltre, per loro operare in sicurezza in Afghanistan e Pakistan è importante visto che questa rappresenta la bretella sud della Nuova Via della Seta“.

Le prospettive per il futuro del Paese sono quindi più scure rispetto a quelle che ci si immaginava dopo gli accordi di Doha con gli Stati Uniti. Ma anche questo ormai inevitabile epilogo non sorprende Berolotti: “In due secoli di storia, gli afghani non hanno mai rispettato alcun tipo di accordo con forze militari straniere. Non possiamo certo aspettarci che a iniziare siano proprio i Taliban”.

Twitter: @GianniRosini

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