Ci sono periferie che assomigliano a distese di ghiaccio. Vengono trascinate alla deriva dalle onde. Lentamente. Un centimetro dopo l’altro. Un giorno dietro l’altro. Fino a quando non si ritrovano in mare aperto. Circondate da un silenzio assordante, lontanissime da un centro ormai irraggiungibile. Non più parte di un continente ma isole indipendenti. Mondi perennemente in penombra che spengono sogni brillanti, che stritolano vite, che indirizzano destini. Per decenni nascere a Leith voleva dire dover scontare un secondo peccato originale. Prega per noi. Ora e nel momento della nostra nascita, come diceva TS Eliot. Ognuno si portava dietro un’equazione sballata. Venire alla luce significava incamminarsi verso il buio. Inesorabilmente. Leith non era un luogo da visitare. Ma da attraversare. Il più velocemente possibile. Le foto a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta spiegano piuttosto bene il perché. Ritraggono sorrisi irregolari, carcasse di auto impilate sulla banchina del fiume, uomini che ripescano copertoni dalle acque, terra brulla che separa case, marciapiedi che affiorano dall’immondizia, la stazione centrale collassata su sé stessa. Leith era molto di più del porto di Edimburgo. Era una bocca che si apriva sul Mare del Nord, un orifizio che mangiava container e defecava miseria. Al resto ci aveva pensato la disoccupazione.

Molte saracinesche giù al porto erano rimaste abbassate. In migliaia si erano trovati senza lavoro. All’improvviso. Erano tutti lì, senza soldi in tasca e con giornate intere da dover riempire. Un buco che era stato colmato dall’eroina a basso costo proveniente dal Pakistan. Un passatempo che era diventato emergenza. Così le autorità avevano deciso di intervenire. Rapidamente, ma non troppo. La risposta era stata primitiva, l’idea pittoresca. Qualcuno aveva pensato che per impedire che la gente si bucasse fosse sufficiente far sparire gli aghi. La parola d’ordine era diventata condivisione. Della disperazione. Delle siringhe. Di quello strano acronimo chiamato Aids. Una matrioska di drammi che tutti hanno sottovalutato. Per anni. Nel 2008 il British Medical Journal ha coniato un termine tutto nuovo. Si chiama “effetto scozzese” e serve a fotografare una situazione piuttosto raccapricciante. I maschi scozzesi sotto i 45 anni avevano un tasso di mortalità del 15% rispetto a quelli di Galles e Inghilterra. Perché facevano uso massiccio di droghe. Quotidianamente. Ora la situazione è cambiata. Leith è diventato un posto come un altro, un luogo stravolto dalla globalizzazione. Catene internazionali, nuovi residence, ristoranti stellati, navi da crociera pronte ad attraccare nel porto. Eppure quell’atmosfera non è stata del tutto cancellata. Continua a vivere nei versi di Sunshine on Leith dei The Proclaimers. Ma soprattutto in un libro. Si intitola Trainspotting e il suo autore, Irvine Welsh, è stato uno dei ragazzi di Leith. A vent’anni era già dipendente dall’eroina. Appena ha potuto ha deciso di andare via, di ricominciare altrove, di pronunciare di nuovo la parola speranza.

Anche Leigh Griffiths è nato a Leith. Solo che quel sobborgo gli è rimasto tatuato sulla pelle, l’ha imprigionato in una parte. Potrebbe essere un personaggio qualsiasi di Trainspotting, invece gioca come attaccante nella seconda squadra più titolata di Scozia. O forse giocava. Questo ancora è da capire. Perché il Celtic sta decidendo cosa fare con quell’attaccante dal talento cristallino e dalla straordinaria capacità di dilapidarlo. A giugno la sua carriera sembrava essere praticamente finita. Il suo contratto era scaduto e le ultime tre stagioni non erano state esattamente positive. Due gol. Nove gol. Cinque gol. Numeri modesti per una punta. La Nazionale non lo ha più cercato. Altri club non si sono fatti vivi. Leigh si è ritrovato solo, chiuso in un angolo. Così ha deciso di rimettersi in gioco. Per necessità. Ma anche per disperazione. Ha continuato ad allenarsi uno all’ultimo giorno di contratto. Con grinta. Con intensità. E gli Hoops hanno deciso di offrirgli un accordo per un’altra annata. Qualcuno lo ha chiamato miracolo. I più romantici hanno tirato di nuovo fuori la storia della fiaba. Troppa melassa per Leigh. Una decina di giorni più tardi l’attaccante è stato convocato un dirigente del club. E gli è stato chiesto di fare i bagagli e lasciare la sede del ritiro precampionato in Galles. Almeno per un po’. La situazione era diventata improvvisamente complessa.

Perché la polizia aveva aperto un’indagine. Griffiths aveva mandato messaggi quantomeno “inappropriati” a una ragazza. Di 15 anni, la metà esatta della sua età. Lei aveva pubblicato una foto che la ritraeva in intimo. E lui le aveva scritto “ya cutie”, sei carina. Poi aveva chiesto una foto anche a un’altra minorenne. Le aveva detto: “Sei stupenda”. Ma stavolta non aveva ottenuto risposta. Il campione di Glasgow è tornato il reietto, lo spiantato di Leith. Anzi peggio. È stato marchiato di qualcosa che in molti avevano paura persino a pronunciare. La pazienza era finita. Mister Trainspotting non faceva ridere più nessuno. Griffiths ha fatto la borsa e se n’è andato. Si è chiuso nella sua casa a Bothwell, nel Lanarkshire, insieme alla sua compagna. Il suo nome è tornato sui giornali. Stavolta non nelle pagine sportive, ma in quelle di cronaca. La Scozia lo spia dal buco della serratura. Due giorni più tardi il Daily Record pubblica un’altra notizia. La sua vicina di casa lo avrebbe denunciato per stalking. Dice che l’ex stella della Nazionale l’avrebbe ripresa con un telefonino. Da sola. E in compagnia delle sue figlie. Così avrebbe chiesto ai suoi avvocati di farlo tenere a distanza di sicurezza. Il particolare più pruriginoso è un altro. Perché la ragazza che avrebbe denunciato l’attaccante sarebbe Jennifer McLeish, 35 anni, figlia del multimilionario tycoon delle ferrovie Alan, che lo scorso anno ha investito un milione di sterline nei Rangers.

Chiuso nella sua villa Griffiths ha capito che le parole riescono a superare anche i muri. E a conficcarsi nella carne. La crocifissione va avanti per giorni interi. Anche dopo che la polizia scozzese annuncia di non aver riscontrato nessun reato nello scambio di messaggi con quella ragazzina di quindici anni. Resta la colpa morale. E non è una consolazione. Griffiths aspetta una chiamata da Glasgow. Solo che il telefono non suona mai. Durante una conferenza stampa l’allenatore del Celtic Ange Postecoglou dice di non aver pensato al suo attaccante neanche per un secondo. È la fine. O poco ci manca. Vedere di nuovo Griffiths con la maglia biancoverde è un esercizio di ottimismo. Così come vederlo altrove. L’Aberdeen ha fatto un timido sondaggio. Ma prendere Leigh vuol dire prendere ormai un appestato, significa mettersi in casa un problema. L’incipit della sua storia era stato scritto quando Griffiths aveva 7 anni. Suo padre l’aveva portato a vedere una partita di ragazzini al Leith Links, il parco locale. Una mattinata come tante, tranne per un piccolo particolare: un ragazzino si era avvicinato a suo padre e aveva iniziato a parlare. “La nostra under 7 è a corto di giocatori – dice – Non è che per caso suo figlio è interessato a giocare a pallone?”. Leigh annuisce e si infila calzoncini e maglietta, sorride e scende in campo. Segna due volte.

Quel bambino che era entrato da sconosciuto ora fa parte del Leith Athtletic. E ci rimarrà fino ai 13 anni. La prima sfida fra i professionisti arriva a Livingston, in First Division. Quando finisce l’allenamento Leigh guarda gli altri andare negli spogliatoi e comincia a calciare in porta da solo. Da ogni angolazione. Ancora. E ancora. E ancora. Fino a quando non sono costretti a portarlo via con la forza. La sua crescita è impressionante, ma anche continua. Prima arriva il Dundee, poi il Wolverhampton. Un’altra dimensione, un altro calcio, un’altra storia. “Ci sono quelli che odiano gli inglesi, io no – dice Renton in una scena di Trainspotting – Sono solo delle mezze seghe. Noi siamo stati colonizzati da mezze seghe. Non troviamo neanche una cultura decente da cui farci colonizzare”. Griffiths scopre presto che non è esattamente così. Il contratto con i Wolves dura quattro anni. L’attaccante ne passa la metà in prestito all’Hibernian Football Club. La squadra di Leith, la squadra di Leigh. Non è un cerchio che si chiude, ma una maledizione che si compie. La punta viene squalificata per gestacci ai suoi tifosi. Pre tre volte. Ma ne ha per tutti. Mima il gesto dell’ombrello ai supporter dei Rangers, insulta pesantemente chi sui social gli chiede di abbassare i toni. Leigh è un bicchiere di veleno. Gli Hibs potrebbero acquistarlo per 50mila euro dai Wolves. Ma c’è un problema: non lo sopportano più. Così ringraziano e lo rispediscono in Inghilterra.

Alla fine nel 2013 il Celtic lo acquista per meno di un milione di sterline. È la remissione dei peccati, l’assoluzione eterna. O forse no. Due anni dopo Leigh va a vedere il derby di Edimburgo allo stadio. Fra i suoi vecchi tifosi. E fa partire un coro contro l’ex capitato dell’Heart of Midlothian: “Rudi Skacel è un fottuto rifugiato”. Seguono scuse, spergiuri, promesse di redenzione. Ma sono parole scritte su una nuvola, promesse pronunciate con le dita incrociate. Leigh stringe le sciarpe del Celtic intorno ai pali delle squadre battute, si pulisce il naso sulla bandierina di calcio d’angolo dei Rangers. Un campionario di bravate che si rinnova in continuazione. Fino al dicembre 2018. Brendan Rodgers si presenta in conferenza stampa e dice che Griffiths sta vivendo un periodo problematico, che ha bisogno di fermarsi. È un qualcosa a metà strada fra l’addio e l’arrivederci. Secondo alcuni giornali Leigh ha un problema con il gioco d’azzardo. Secondo altri sta affrontando una forma di depressione. Hanno ragione tutti. La ripresa è più dura del previsto. Perché non si possono battere i propri demoni quando ci si è cresciuti insieme. Durante il lockdown Leigh non si allena bene. Ha la testa altrove. E infrange il divieto di restare a casa. L’allenatore del Celtic Neil Lennon non lo vede nemmeno. Dice che il suo stato di forma è scarso, che non riesce ad accendersi nuovamente. Un motore grippato con una testa calda innestata sopra. Dopo aver perso il derby contro i Rangers per 2-0 Griffiths ha un’intuizione delle sue. E ammucchia la sua auto contro altre tre vetture parcheggiate. Via la Nazionale. Via il posto fisso nel club. Via la speranza. Griffiths ora aspetta una chiamata che non arriva. E che forse non arriverà mai. Almeno fino a quando quel ragazzo di Leith non uscirà una volta per tutte da Trainspotting.

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