L’erosione progressiva delle nostre coste è un fenomeno spesso sottovalutato, mentre appare sempre più evidente che può provocare effetti disastrosi anche a causa dell’incremento dovuto allo sconvolgimento climatico in atto. Bene ha fatto quindi Legambiente a sottolinearne, nel suo ultimo rapporto, la gravità e l’ampiezza.

Pochi conoscono, tuttavia, l’importanza che a questo proposito riveste la posidonia, una piccola pianta marina che sembra un’alga, molto presente nei nostri mari, la quale vive generalmente a basse profondità, formando ampie distese chiamate praterie, che rivestono una fondamentale importanza per l’equilibrio ecologico, sia per il controllo del moto ondoso, sia perché al suo interno vivono molti organismi animali e vegetali che nella prateria trovano nutrimento e protezione.

Purtroppo, come evidenziato da recenti studi dell’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), la crescente antropizzazione costiera ha portato, negli ultimi decenni, a un declino sensibile di queste praterie, il cui tasso di scomparsa in Mediterraneo è pari al 5% annuo, un valore di oltre 4 volte superiore a quello delle foreste tropicali. Ma, anche quando queste piante muoiono, i loro residui che si depositano sulle spiagge svolgono una fondamentale funzione di conservazione delle coste e dei loro ecosistemi. Infatti, gli accumuli delle foglie morte, dei rizomi e dei resti fibrosi della posidonia frammisti alla sabbia formano delle vere e proprie barriere che ostacolano l’azione e l’energia del moto ondoso, contribuendo alla stabilità delle spiagge e della costa.

Tuttavia, è altrettanto evidente che queste “barriere” di piante morte (e maleodoranti) sulle spiagge limitano notevolmente la idoneità alla balneazione; pertanto, in questi casi, si pone il problema di conciliare tutela ambientale e fruizione turistica. Compito complicato dalla circostanza che, secondo la legge, si tratta di rifiuti e quindi molto spesso si finisce per portarli in discarica. Non è questa la sede per approfondire la complicata problematica giuridica che ruota attorno alle posidonie spiaggiate, considerate a volte come rifiuto e altre volte come risorsa: basta ricordare che essa è stata oggetto di due circolari del Ministero dell’ambiente (del 2006 e del 2019), di alcune disposizioni regionali (tra cui una ottima legge della regione Sardegna del 2020) e di una recente sentenza della Corte costituzionale, la quale ha ribadito che si tratta di rifiuti e che la competenza per la loro regolamentazione spetta allo Stato. Appare certamente opportuno, quindi, un intervento legislativo che chiarisca la situazione. Un primo passo è stato fatto nel 2010 quando si è stabilito che la posidonia spiaggiata può essere oggetto di interramento in loco.

E, proprio pochi mesi fa, nel maggio 2021, con il decreto Sostegni, si è aggiunto che, fino al 31 dicembre 2022, la posidonia spiaggiata è esclusa dalla disciplina sui rifiuti (e quindi dai relativi obblighi) se viene reimmessa nell’ambiente marino, ovvero riutilizzata in agricoltura o in altri cicli produttivi senza pericoli per l’ambiente e per la salute.

Insomma, qualcosa si è mosso. Ma non basta. Come evidenziato in un recentissimo webinar organizzato da “Safegreen” con l’intervento anche di esperti di Ispra e del Cnr, infatti, attualmente le barriere di posidonie spiaggiate contengono anche notevolissime quantità di rifiuti (specie plastiche) e di sabbia, e, pertanto, occorre certamente “ripulirle”. La migliore soluzione, secondo gli esperti, sarebbe mantenere sulle spiagge (anche con interramento) queste barriere provvedendo periodicamente a rimuovere (manualmente) gli altri rifiuti, facendo bene attenzione, ad una corretta redistribuzione della sabbia.

Se, invece, le esigenze “balneari” non lo consentono, suggeriscono la loro rimozione prima della stagione balneare, il loro riutilizzo lungo la fascia costiera e il riposizionamento sull’arenile al termine della stagione turistica. Resta, infine, l’opzione di “ripulire” le barriere e di destinare i residui di posidonia all’agricoltura o ad altri cicli produttivi, così come già si fa in altri paesi.

Occorre, quindi, al più presto un ulteriore intervento del legislatore che regolamenti queste opzioni in modo certo, fornendo contestualmente incentivi per la loro attuazione. Così come è opportuno che su questa linea intervenga anche l’Unione europea attraverso un’aggiunta specifica nella normativa sui rifiuti.

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